• martedì , 16 Luglio 2024

Una proposta di riforma del nostro sistema di istruzione e formazione

Nel libro di Giuseppe Bertagna  considerazioni severe sulle inadempienze del  Ministero dell’Istruzione al tempo della pandemia. E tante  idee di cambiamento

di Antonio Santoro

Nell’ultimo libro di Giuseppe Bertagna, considerazioni severe sulle ‘inadempienze’ del Ministero dell’istruzione durante la fase acuta della pandemia e la ri-proposizione di linee di azione politica “per cambiare il (nostro) sistema di istruzione e formazione in prospettiva inclusiva e pluralista”.

La scuola al tempo del Covid. Tra spazio di esperienza ed orizzonte d’attesa – scrive Giuseppe Bertagna nella Introduzione del suo libro pubblicato nello scorso anno (Edizioni Studium, Roma) – “è una specie di diario di quanto è successo da febbraio a ottobre 2020 nel sistema scolastico italiano, dopo l’esplosione della pandemia Covid-19. Un diario programmaticamente ed esplicitamente critico, però”: che indica anche “quanto […], ad avviso dell’autore, si sarebbe dovuto e potuto fare, e perché, dal punto di vista della pedagogia della scuola” (p. 33).

E’ un diario critico perché denuncia, soprattutto e in particolare, la sostanziale incapacità del Ministero dell’istruzione di definire e promuovere iniziative, specifiche, in grado di evitare ciò che poi si è effettivamente verificato: il fatto, cioè, che “le attività didattiche a distanza (DAD) attivate in modo improvvisato ancorché volenteroso e ritardato dopo lo choc della chiusura (delle scuole) hanno finito per diventare un ulteriore fattore d’aumento delle già forti disuguaglianze formative esistenti nel Paese, invece che fattore di un loro contenimento” (p. 102).

Il nostro Ministero dell’istruzione – evidenzia ancora Bertagna – ha infatti trascurato “di pensare che cosa predisporre sul piano formativo da maggio a settembre per chi avrebbe dovuto essere al centro delle sue preoccupazioni dopo mesi e mesi di chiusura delle scuole e di percorsi didattici inevasi, ovvero gli studenti, soprattutto i più piccoli dell’infanzia e primaria che si è dimostrato ricavino rilevanti danni educativi, psicologici e culturali di lungo periodo senza più le routine dei tempi, degli amici, delle attività e delle relazioni scolastiche” (p. 103).

Ed è del tutto inaccettabile – continua il pedagogista – che il Ministero, “per la responsabilità sociale oltre che culturale che gli è attribuita, non abbia pensato […] alla possibilità di immaginare una scholé estiva” (p. 106), la quale “sarebbe potuta diventare (anche) un laboratorio sperimentale per rilanciare possibili linee di una riforma del sistema di istruzione e formazione che si aspetta senza successo dal 2001, coinvolgendo 41 mila scuole statali e 10 mila non statali paritarie” (p. 109).

La scholé estiva, “non obbligatoria, ma scelta volontariamente dalle famiglie e dagli studenti (di tutti gli ordini e gradi di scuola) in base alle loro esigenze e ai loro fini”, avrebbe potuto – coinvolgendo piccoli gruppi in presenza –  efficacemente “contribuire alla diminuzione delle disuguaglianze formative rese ancora più evidenti dalla pandemia, ma insieme anche […] sviluppare meglio e di più i talenti di ciascuno” (p. 112).  Perché avrebbe consentito ( possibilmente – ndr):

a) l’organizzazione dei LARSA, cioè dei Laboratori di Approfondimento, Recupero e Sviluppo degli Apprendimenti scolastici, per una proficua tempestività delle specifiche azioni promozionali;

b) la predisposizione di “attività formative in ambiente E-learning: formazione del tutto virtuale o blended, a seconda dei bisogni, erogata in modo asincrono (cioè con materiali pensati, preparati e montati prima) per gruppi anche numerosi di studenti”;

c) l’offerta / organizzazione di “attività elettive libere – ma assistite – per piccoli gruppi”, da svolgersi sia a scuola che nel territorio;

d) la proposta di “esperienze di Service Learning ad alta sensibilità civica e sociale”: quindi, di impegni in attività a favore della comunità locale di appartenenza, sicuramente capaci di favorire, anche, fondamentali processi di crescita personale assieme a significative espressioni di cittadinanza (cfr. pp 112-114).

Lo sguardo rivolto al futuro della scuola porta poi lo studioso a rilevare, in primo luogo, l’impossibilità di “governare e risolvere i problemi dell’educazione,  della formazione e dell’istruzione nel nuovo millennio, riproponendo soltanto un aggiustamento delle scelte di un passato che può essere stato glorioso, ma che oggi non è <inattuale> nel senso positivo che Nietzsche attribuì a questo termine, ma soltanto del tutto <anacronistico e distopico>; e a sottolineare, successivamente, l’indispensabilità di “introdurre nette soluzioni di continuità rispetto al passato” (pp. 146-147). Per passare infine a proporre, di nuovo, linee di azione politica, intendimenti e scelte già presenti nell’impianto culturale della Riforma Moratti. Si pensi, solo per fare un esempio, alla proposta di articolazione della funzione docente (per l’insegnamento d’aula e le attività di laboratorio) che prevede, pure, la re-introduzione della figura del docente-tutor, ancora  ritenuta in assoluto fondamentale per la personalizzazione dei percorsi nel sistema educativo di istruzione e di formazione.

Il processo di cambiamento che Bertagna torna a proporre e a sollecitare, richiedendone l’avvio senza ulteriori ritardi, con le gradualità possibili e con l’utilizzazione adeguata delle risorse europee del Recovery Fund, appare sostanzialmente orientato nella direzione del conseguimento di due obiettivi di carattere generale.

Il primo riguarda il trasferimento alle Regioni e alle autonome istituzioni di istruzione e formazione, senza le timidezze del passato, della “intera gestione del sistema (educativo) e di tutti i suoi processi (dagli organici al reclutamento e ai trasferimenti del personale, ecc.), riservando sempre alle competenze dello Stato “i compiti a) di Governo (da esercitare attraverso le <norme generali sull’istruzione>, i <livelli essenziali di prestazione> per l’istruzione e formazione professionale, la definizione dei <principi> volti a regolare le materie concorrenti con le competenze regionali) e b) di valutazione del sistema di istruzione e formazione” (cfr. pp. 147-149)

Il secondo obiettivo interessa, invece, gli ordinamenti e prevede – lo si richiama in termini essenziali:

1. la generalizzazione “su tutto il territorio nazionale (degli) asili nido e (delle) scuole dell’infanzia, impostando in materia unitaria, graduale e continua questo importante segmento educativo e formativo aperto a tutti, sebbene con la sua tradizionale non obbligatorietà giuridica per i genitori”;

2. l’articolazione – anche in Italia –  “su 12 anni (dei) percorsi scolastici e formativi necessari per l’acquisizione del diploma che consente l’accesso agli studi superiori di istruzione (università) e a quelli dell’alta formazione professionale…”.

“All’interno dei 12 anni, i percorsi scolastici e formativi si organizzano in un primo ciclo articolato in quattro bienni tra loro graduali e continui e in un secondo ciclo composto da un triennio e un anno conclusivo…” .

“I piani di studi sono strutturati su attività obbligatorie, opzionali e facoltative; queste due ultime aumentano a mano a mano che si passa dal primo al secondo ciclo e nelle annualità del secondo ciclo…”;

3. la scelta di nominare “Licei, seguiti dalle rispettive aggettivazioni qualificative dei profili conclusivi, tutti gli attuali percorsi di istruzione e di istruzione e formazione professionale del secondo ciclo degli studi”;

4. “la promozione degli apprendimenti mediante esperienze pratiche sul territorio e di natura laboratoriale nelle istituzioni scolastiche e formative”. Prospettiva che deve costituire, “naturalmente in forme diverse, una costante delle attività di istruzione e formazione sia nel segmento 0-6 anni sia nei percorsi del primo e del secondo ciclo” . Come pure “una costante delle attività di istruzione e di formazione del secondo ciclo”  deve continuare ad essere “la metodologia dell’alternanza scuola lavoro, anche con la formalizzazione di stage e di tirocini delle imprese” (pp. 150-152).

Le citazioni che precedono credo riportino fedelmente gli aspetti di maggior rilievo della proposta di Giuseppe Bertagna di riforma del sistema italiano di istruzione e formazione. A ciascuno la scelta dell’itinerario di riflessione per rilevarne ambiti di apprezzabilità e zone di criticità; per valutare, ad esempio, opportunità e rischi di una accentuata regionalizzazione della nostra scuola.

Si tratta, comunque, di ipotesi di cambiamento meritevoli di attenta considerazione, anche perché non è da escludere la possibilità che trovino spazi significativi in orizzonti futuri di politiche educative. 

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