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Una competenza per l’Europa del Novecento

di Antonio Errico

Il 18 dicembre del 2006, il Parlamento e il Consiglio europeo hanno approvato una Raccomandazione relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Le competenze, cui è stato attribuito il significato di una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto, sono queste: comunicazione nella madrelingua; comunicazione nelle lingue straniere; competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; competenza digitale; imparare ad imparare; competenze sociali e civiche; spirito di iniziativa e imprenditorialità; consapevolezza ed espressione culturale.
E’ questo, dunque, il tipo di formazione che nell’attuale secolo ciascuno dovrebbe acquisire al termine del periodo obbligatorio di istruzione per poter realizzare uno sviluppo personale, per esercitare una cittadinanza attiva, per l’inclusione sociale, per una concretezza delle prospettive di occupazione, per una professionalità che possa essere riconosciuta a livello nazionale ed internazionale. Ma non basta. Poi occorre anche confrontare i livelli di formazione garantiti dai sistemi formativi dei diversi Paesi attraverso una modalità che ne faciliti il riconoscimento e la leggibilità. Così, il 23 aprile del 2008 il Parlamento e il Consiglio dell’Unione europea hanno adottato la Raccomandazione sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente. Fuori da questo quadro di riferimento, ogni competenza – anche di notevole livello – corre il rischio di accartocciarsi, di non avere nessuna valenza nei contesti sociali e lavorativi internazionali. “Certamente una formazione per l’Europa esige politiche dell’istruzione e dell’educazione capaci di dialogare fra loro, aventi un perno obbligatorio in alcuni obiettivi fermi, quali la solidarietà, che possa garantire il diritto all’educazione divenuto nella madrelingua; –
ormai prioritario compito della pedagogia sociale, la cooperazione, che consenta di superare le barriere ideali della nazionalità, la qualità totale, nella scuola e fuori dalla scuola, la comprensione delle culture pur diverse fra loro e quindi una autentica integrazione.
Il ‘nuovo’ da costruire è comunque già nella tradizione europea. Basta riandare alle radici”. In questo passo di Formazione e didattica tra offerta e domanda (La Scuola editrice, 1995), Lanfranco Rosati individuava, già vent’anni fa, quelle che sono le finalità di una formazione di caratura europea. Un sistema formativo non può prescindere da una connotazione europea; non può non tener conto di quelle che sono le conoscenze e le competenze che gli altri Paesi pongono tanto come condizioni di cittadinanza quanto come strutture di conoscenza.
Ecco: è sulle condizioni di cittadinanza e sulle strutture di conoscenza che il curricolo dovrebbe articolarsi e svilupparsi in verticale, potenziando gradualmente i nuclei concettuali, tematici e semantici. Ora, sia la cittadinanza, pensata e orientata in funzione etica e partecipativa – quindi del saper essere -, sia la conoscenza, pensata e orientata in funzione del sapere e saper fare, richiedono un raccordo con quelli che sono gli scenari sociali, culturali, economici a livello nazionale e internazionale.
Ma non solo gli scenari attuali. Occorre una capacità di previsione degli scenari che saranno da qui a venti o trent’anni. Perché, se è vero che tanto l’essere quanto il sapere devono avere una praticabilità qui e ora, è altrettanto vero che alcune conoscenze devono risultare adeguate a quelle che saranno le richieste del sociale, della cultura e del lavoro fra venti e trent’anni.

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