con le tecnologie multimediali
da un’esperienza in un Liceo Scientifico
di Giuseppe Caramuscio*
(*docente di storia e filosofia nella scuola secondaria di II grado)
VISIONA SUBITO IL VIDEO “1915-2015 La pietas e l’orgoglio”
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La prima guerra mondiale tra memoria e oblio
L’uso pubblico della Storia sta presentando il 2015 soprattutto come l’anno del centenario dell’esordio italiano nella prima guerra mondiale, e ne prolungherà le celebrazioni fino al 2018, quando sarà trascorso un secolo dalla sua conclusione. Se in passato la “Grande Guerra” veniva celebrata come la vittoria delle nostre armi (rammentiamo il significato originario del 4 Novembre?), oggi, alla ricerca delle nostre smarrite radici, la rappresentiamo piuttosto come quell’immane evento che seppe riunire in modo tragicamente originale (ma precario) le storie e le coscienze delle diverse Italie, rielaborandone l’identità come nessun avvenimento era riuscito a fare in precedenza.
La problematicità del rapporto tra passato e presente si ripropone in modo più stridente in ogni occasione commemorativa, alla luce di rinnovate connessioni tra l’esperienza dei contemporanei e quella delle generazioni precedenti. In particolare, chi quotidianamente è impegnato nella formazione scolastica non può non interrogarsi sulla ricaduta educativa delle strategie del ricordo collettivo e, di conseguenza, sulla mediazione didattica più idonea a conferire senso ad una ritualità esposta ai rischi della retorica, della banalità e quindi dell’inutilità, se non del danno.
È noto come il tema della memoria storica abbia occupato uno spazio di rilievo in ogni epoca e come negli ultimi decenni del Novecento sia tornato alla ribalta con toni molto intensi e spesso impropri, traendo beneficio dall’amplificazione dei media, ma anche pagando a questi il pedaggio della semplificazione e della spettacolarizzazione proprie della comunicazione di massa. L’istituzione di diverse “Giornate della Memoria”– a breve distanza l’una dall’altra – è la dimostrazione evidente delle molteplici facce dello stesso problema: l’esorcizzazione dell’oblio. Se ne trova conferma nelle tracce assegnate agli esami di Stato per la prova d’Italiano, con le quali il governo della scuola sonda la percezione delle problematiche contemporanee da parte delle generazioni più giovani. Va ricordata, in proposito, la suggestiva traccia proposta nel 1996, che citava un’affermazione di Cesare Pavese: «Quando un popolo non ha più un senso vitale del suo passato si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori anche noi, quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia». Concetti analoghi vengono ribaditi in un’altra proposta, compresa nel ventaglio delle proposte del 2002, dal titolo: “La memoria storica tra custodia del passato e progetto per il futuro”, corredata di importanti brani storiografici, filosofici e giornalistici sul tema.
Nel caso di una riflessione sulla prima guerra mondiale e, più in generale, sulla guerra tout court, un discorso celebrativo, e quindi a palese finalità formativa, pone non pochi problemi all’educatore. Come consentire la comprensione profonda di eventi bellici apocalittici e come orientare gli atteggiamenti di soggetti in formazione? Per tali questioni non è facile trovare una risposta equilibrata, che sfugga alla seduzione di un richiamo moralistico al valore della pace. C’è il rischio di comunicare un messaggio ambiguo, come sono ambigui tanti altri messaggi che sono espressione del voler essere della società adulta nei confronti dei bambini e dei ragazzi. Dobbiamo chiederci se abbia senso esibire valori costantemente contraddetti dai comportamenti reali e se l’effetto educativo che ne deriva non vada nella direzione opposta a quella auspicata. Gli educandi non possono non avvertire il contrasto tra il rifiuto della violenza che aleggia nelle aule scolastiche e la sua puntuale contraddizione al di fuori di esse. L’esperienza scolastica, per quanto coinvolgente, rappresenta solo una parte minoritaria del complesso di esperienze degli adolescenti del XXI secolo, che interiorizzano valori e comportamenti attraverso la fruizione dei messaggi della comunicazione sociale, nei confronti dei quali la scuola è largamente perdente. Al recedere delle competenze di lettura funzionale (segnalato con allarme da ben note indagini internazionali) si accompagna la fenomenologia di una nuova forma di marginalità, caratterizzata da una ridotta capacità di comprensione dei problemi della società contemporanea, da un’esposizione inerte alle suggestioni del momento, da risposte solo emotive a messaggi dei quali sfugge la componente di manipolazione.