crisi di identità adolescenziale o istituzionale?
di Giuseppe Caramuscio
Nove anni dopo
A un tempo con piacere e con rammarico, ritorno su un argomento che già ho avuto occasione di affrontare, diversi anni fa, su questa stessa Rivista. Con piacere, per rinnovare la mia personale adesione al suo progetto editoriale (che oggi si misura con nuove sfide), e per partecipare, sia pure in misura modesta, alla tribuna delle idee che “Scuola & Amministrazione” ha ospitato e animato nel corso della sua ventennale esistenza. Altresì con rammarico, in quanto la ripresa di certi temi offre l’opportunità per constatare il ritmo impacciato, lentissimo, quasi impercettibile, con cui si muove il sistema scolastico italiano, specialmente quando è chiamato ad aggiornare alcuni suoi aspetti strutturali che, come tali, resistono e talora si sottraggono persino al confronto dialettico. Al punto che, quando a ragionevole distanza di tempo si voglia puntualizzare lo stato dell’arte di qualche tassello del mosaico formativo, si incorre facilmente nel rischio della ripetizione e della confusione tra il “come eravamo” e il “come siamo”, tanto il passato rimane attuale.
Fra gli argomenti di pedagogia scolastica per me più interessanti, riconosco quelli correlati all’ultimo anno degli studi secondari, che periodicamente torno a visitare, spostando di volta in volta il punto di osservazione dagli esami conclusivi (1)(sua finalizzazione più evidente, anche nell’immaginario collettivo) ai problemi più generali di politica dell’istruzione ad esso afferenti (certificazioni, orientamento, ecc.)(2). Com’è cambiata, nell’arco dell’ultimo decennio, la concezione, la funzione di questo anno spartiacque dell’itinerario scolastico? Dal punto di vista strettamente politico, sei ministri della Pubblica Istruzione (o MIUR) di altrettanti governi, con energie diverse, si sono cimentati nel varare o accomodare una riforma dei cicli scolastici, che alla fine è apparsa come un compromesso tra gli orientamenti di Moratti, Fioroni e Gelmini (i tre responsabili di dicastero che si sono mossi in tal senso) e che dal prossimo anno scolastico andrà completamente a regime, estendosi quindi anche al quinto anno.
In itinere, sono stati apportati alcuni ritocchi alla formula docimologica dell’esame di Stato (vedasi l’aumento del punteggio del credito assegnato al 5° e la previsione del giudizio di ‘lode’ per chi consegua il massimo della votazione senza l’aiuto del bonus). È stata ripristinata la composizione mista della commissione d’esame (presidente e docenti esterni in aggiunta agli interni). Nello scorso settembre è stato esperito, per la prima volta, un tentativo (molto discusso, poi annullato) di saldare la votazione finale degli studi secondari al punteggio complessivo valido ai fini dell’ammissione alle Facoltà a numero chiuso. Si preannuncia (secondo uno stile ormai acquisito da tutti i governi) ogni anno che verrà come il primo della terza prova d’esame ministeriale sul modello delle prove INVALSI, sforzo anche questo volto a conferire all’esame un senso di valutazione generale degli apprendimenti su scala comparativa nazionale. Non poco, forse, considerando i ritmi cui prima si accennava. Ma parlare di ‘riforma’ rinvia a scenari di largo respiro e di grande suggestione, che non si sono nemmeno intravisti. Sullo sfondo, invece, la più imponente manovra di tagli alle risorse finanziarie delle istituzioni scolastiche mai attuata prima (in particolare, nel triennio 2008-2011), che getta un’ombra inquietante sulla natura e sulle finalità striscianti del riordino dei curricoli.
Le notazioni che in questa sede socializzo rappresentano il resoconto delle mie osservazioni, che ho cercato di connettere in una ricostruzione possibilmente non frammentaria e non soggettiva, per quanto condizionata dal mio sguardo personale, e quindi parziale, sul mondo scolastico (ancorato alla visuale di docente nell’istruzione liceale).
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