di Antonio Santoro
La scuola inclusiva del nostro tempo avrà sempre più una <organizzazione fondata su una pedagogia personalizzata e personalizzante. La scuola del secolo scorso, uniforme e fordista…, diventerà storia>.
(G. Bertagna)
Bisogna “capire la grande differenza che passa tra un sostegno per l’integrazione e un sostegno per l’inclusione. Mentre il sostegno per l’integrazione […] riguarda la necessità di realizzare adattamenti, certamente utili ma limitati, nell’inclusione […] il contesto si allarga e si trasforma in un vero e proprio ecosistema”, caratterizzando in particolare la classe come “ambiente biotopico”, cioè come “luogo dove coesistono e coevolvono – quindi cambiano – elementi abitualmente distanti l’uno dall’altro. Esempi quasi banali di biotopi sono una palude e un bosco: abitualmente una palude è lontana dal bosco; se invece palude e bosco coesistono – stanno insieme –, coevolvono, ossia subiscono delle mutazioni che non dipendono dall’esistenza autonoma di ciascuna delle due realtà, ma risultano dalla vicinanza reciproca” (1).
Nella realtà scolastica – ambiente biotopico -, “I processi inclusivi non riguardano solo i disabili, i Bes, i soggetti altamente sensibili, i poveri, i <segnati da Dio> del linguaggio popolare, gli esclusi, gli ultimi, ma tutti” (2); e per tutti si realizzano in termini adeguati solo a condizione che mai si trascuri “un principio pedagogico fondamentale spesso, purtroppo, dimenticato anche oggi: che (per chiunque) debba essere accompagnato, dalla minorità alla massima autonomia e pienezza possibili della sua maturità evolutiva, da un magister in un contesto ambientale e sociale determinato, non può esistere (come – aggiunge il pedagogista Bertagna – non poteva esistere ieri per Victor, “il ragazzo selvaggio dell’Aveyron”, e per l’Emilio di Rousseau) una soglia precostituita di traguardi di maturazione da raggiungere, ricavata dalla comparazione con gli altri coetanei o decisa in modo giuridico sovrano dal potere politico-amministrativo, quindi stabilita in una maniera astratta e standardizzata, in modo uniforme per tutti” (3).
A nessuno si “può, perciò, imporre […], anche con gli intenti più nobili e paterni, un vestito che non sia il suo, ovvero norme da rispettare e traguardi da superare che non scaturiscano anche dalla sua personale physis e che non siano espressione significativa dei suoi progetti di vita personale, nella sua esclusiva realtà esistenziale e socio-economica-culturale vivente […].
La <magisterialità> è incompatibile, epistemologicamente, con il peccato di Procuste: non può adattare <l’altro> ad una normalità prestabilita a lui estranea e, tantomeno, giudicarlo eccentrico perché o se e quando ne fuoriesce” (4).
Le considerazioni innanzi riportate consentono a Giuseppe Bertagna di tornare a indicare la strada, sempre più ineludibile, della personalizzazione dell’offerta formativa della scuola: dell’adozione, cioè, di “un modello educativo centrato primariamente sulla valorizzazione delle potenzialità/risorse personali latamente intese, da quelle cognitive a quelle sociali e creative” (5); quindi, e in particolare, dell’utilizzo di “procedure didattiche che hanno lo scopo di permettere ad ogni studente di sviluppare le proprie peculiari potenzialità intellettive, differenti per ognuno, sempre attraverso forme di differenziazione degli itinerari d’apprendimento” (6). E’ la strada – sembra opportuno ripeterlo con espressioni di Elio Damiano – per promuovere, durante il percorso di crescita a scuola, il massimo individualmente possibile, senza trascurare però l’impegno di favorire, realisticamente, anche le acquisizioni, da parte di tutti, del minimo socialmente necessario.
Le stesse considerazioni e la conseguente prospettiva di personalizzare gli impegni istituzionali di educazione e di istruzione portano poi il pedagogista a ri-proporre, ancora una volta, l’introduzione della figura del docente tutor, che avrebbe il compito non solo di assicurare le necessarie attività di accompagnamento degli allievi affidati alla sua responsabilità professionale, ma anche di curare “la predisposizione (con l’ascolto sistematico e la partecipazione attiva dei singoli studenti, dei loro genitori e dei colleghi) dei piani di studio personalizzati per ciascuno e l’annotazione evolutiva e critico-riflessiva delle loro esperienze relazionali più o meno pedagogiche e di apprendimento nell’e-Portfolio” (7).
Specifici e significativi cambiamenti sono pure richiesti, oggi, dalle difficoltà e dalle inadeguatezze che ancora incontra l’impegno di “inclusione scolastica e sociale delle persone in situazione di disabilità, di DSA o BES”. Perché, scrive Bertagna, “una cosa si è ben chiarita sulla sostanza del problema, in questi decenni: ovvero che il processo pedagogico dell’integrazione o, se si preferisce, dell’inclusione delle persone in situazione di difficoltà, dai disabili ai BES, ai soggetti altamente sensibili, non può reggersi soltanto sulla delega a qualcuno in particolare, quand’anche fosse un super competente prometeico e allo stesso tempo saggio, ma deve coinvolgere, per la loro parte, la libertà e la responsabilità di tutti gli attori personali, istituzionali e sociali comunque in gioco nel processo educativo e formativo.
La regola vale per i docenti: non si può delegare questo programma (il programma dell’inclusione scolastica dei soggetti ‘diversamente abili’ – ndr) soltanto o soprattutto al docente di sostegno che conosciamo, ma esso interpella tutti gli insegnanti, a qualsiasi classe di concorso appartengano e qualunque insegnamento professino, come singoli e come comunità docente che opera in ogni scuola” (8).
In “una scuola inclusiva a livello di sistema – torna a sottolineare Bertagna –, tutti i docenti, nessuno escluso […], dovrebbero essere in grado di affrontare, governare e gestire proficuamente, in generale, e dal punto di vista educativo e didattico, la presenza di qualche studente disabile, DSA e BES nei gruppi classe e/o nei gruppi LARSA (Laboratori per l’Approfondimento, il Recupero e lo Sviluppo degli Apprendimenti). Con gli opportuni <sostegni> specializzati, però. Appunto. Ma senza poter delegare in modo implicito o esplicito questa responsabilità soprattutto a uno di loro: il <docente di sostegno> (9).
Il lavoro inclusivo degli insegnanti va, dunque, adeguatamente sostenuto e debitamente coordinato: per questo il pedagogista prevede, all’interno di una prospettiva di articolazione dell’unicità della funzione docente, “l’introduzione di una nuova figura di docente esperto: quello specializzato nel sostegno ai colleghi impegnati nei processi e negli interventi d’inclusione degli studenti disabili. Docente esperto che – collocato <al livello più alto del middle management di istituto> – dovrebbe essere distaccato a tempo pieno dall’insegnamento ordinario in qualsiasi gruppo classe costituito, proprio per poter essere a disposizione di tutti i colleghi […] che avessero bisogno di non comuni supporti o orientamenti specialistici per esercitare al meglio la <magisterialità pedagogica> con gli studenti più fragili” (10).
Ho richiamato quasi testualmente, nei loro tratti essenziali, solo alcune delle proposte di cambiamento elaborate negli anni da Bertagna “per una scuola dell’inclusione” (11). Scuola e Amministrazione tornerà, probabilmente, a considerarle in termini più analitici, perché è già evidente una particolare attenzione di Viale Trastevere per i suggerimenti del noto pedagogista.
Note
1. Andrea Canevaro, Introduzione a A. Canevaro, R. Ciambrone e S. Nocera (a cura di), L’inclusione scolastica in Italia, Erickson, Trento 2021, p. 24;
2. G Bertagna. Per una scuola dell’inclusione, Edizioni Studium, Roma 2022, p. 51;
3. ivi, p.87;
4. ivi, pp. 89-90;
5. Giorgio Chiosso, Presentazione di AA.VV., Personalizzare l’insegnamento, il Mulino, Bologna 2008, p. 14;
6. Massimo Baldacci, Personalizzazione o individualizzazione?, Erickson, Trento 2005, p. 19;
7. G. Bertagna, cit., p. 114;
8. ivi, pp. 103-104;
9. ivi, p. 145;
10. ivi, pp. 159-160;
!!. cfr anche G. Bertagna, La scuola al tempo del Covid, Ed. Studium, Roma 2020.