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Permesso retribuito negato dal D.S.: il parere dell’avvocata

Un’avvocata impegnata in uno Studio legale di Pisa ha fatto giungere alla Segreteria della Rivista un pur breve, ma utilissimo saggio, che si ritiene doveroso pubblicare di seguito. Il redattore ringrazia l’avvocato per l’elegante collaborazione che ha voluto offrire alla Rivista, con la sua professionale esposizione.

di Eliana Flores

 

Il riferimento è allo scritto, rubricato: Permesso retribuito negato dal D.S.: discrezionalità legittima o abuso di potere?, pag. 45 n. 9/settembre 2018 della rivista “Scuola e Amministrazione”.

 

Con gli occhi di chi vive quotidianamente l’aspetto processuale della fattispecie analizzata nell’articolo, non posso non esimermi dal rilevare palesi contraddittorietà: mentre da un lato si evidenzia, esattamente, che il dipendente, nel momento in cui richiede il permesso per motivi personali o familiari, avrà rappresentato più che compiutamente i motivi richiesti dall’ordinamento per lo scopo precipuo, scorrendo ancora il testo si legge che la pretesa dell’insegnante di fruire dei 6 giorni di ferie nei periodi di lezione non è un diritto soggettivo perfetto, perché l’ordinamento scolastico subordina l’accoglimento di tal pretesa all’accertamento che non derivino oneri finanziari per l’amministrazione scolastica.

 

Il secondo comma dell’art. 15 C.C.N.L. Scuola 2006_2009, prescrive che: “Il dipendente ha diritto, a domanda, nell’anno scolastico, a tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione. Per gli stessi motivi e con le stesse modalità, vengono fruiti i sei giorni di ferie durante i periodi di attività didattica di cui all’art. 13, comma 9, prescindendo dalle condizioni previste in tale norma”. Tale assunto risulta confermato dal C.C.N.L. 2016_2018. Per cui, se un docente a tempo indeterminato ha già consumato i primi 3 giorni di permesso retribuito, può decidere di fruire dei restanti 6 con le stesse modalità, senza essere subordinato alla determina dirigenziale. Il dirigente scolastico può esclusivamente prendere atto della correttezza formale della richiesta, in quanto non vi è alcuna disposizione che attribuisca il potere in capo ai dd.ss. di indagare sulla veridicità delle dichiarazioni ovvero certificazioni presentate dal docente, proprio perché si è al cospetto di un diritto soggettivo perfetto.

 

Inoltre, vero è che sono istituti distinti le ferie ed i permessi retribuiti; mentre per questi ultimi non sussistono presupposti di applicazione, per le ferie l’art.1 al comma 54 della L. di stabilità 2013 – LEGGE 24 dicembre 2012, n. 228 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -(GU n.302 del 29-12-2012 – Suppl. Ordinario n. 212 ): “Il personale docente di tutti i gradi di istruzione fruisce delle ferie nei giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali, ad esclusione di quelli destinati agli scrutini, agli esami di Stato e alle attivita’ valutative. Durante la rimanente parte dell’anno la fruizione delle ferie e’ consentita per un periodo non superiore a sei giornate lavorative subordinatamente alla possibilita’ di sostituire il personale che se ne avvale senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica”; ma la su menzionata restrizione non è contenuta nell’art. 15, comma 2 cit., che richiede la sola presentazione della domanda attestante i motivi personali e familiari.

 

In tema di lavoro pubblico “privatizzato”, per giurisprudenza pietrificata della S.C., va esclusa la configurabilità di situazioni di interesse legittimo, mentre va ricondotto al diritto soggettivo l’interesse pregiudicato da decisioni assunte in esito a procedimenti riconducibili all’esercizio dei poteri del privato datore di lavoro.

 

La natura privata non consente di configurare in astratto interessi legittimi, situazioni giuridiche soggettive concepibili soltanto in correlazione con l’attività autoritativa dell’amministrazione, attività autoritativa che costituisce il presupposto costituzionalmente obbligato perché una controversia sia attribuita, ai sensi dell’art. 103 Cost, alla speciale giurisdizione del giudice amministrativo, ivi compresa quella esclusiva (C. Cost. n. 204 del 2004). Principio, questo, ribadito dall’intervento legislativo attuato con la legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, con l’inserimento dell’art. 1-bis: La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.

 

Di fronte all’attività non autoritativa e di diritto privato delle amministrazioni pubbliche, tutte le situazioni giuridiche soggettive degli interessati vanno ricondotte alla categoria dei diritti di cui all’art. 2907.

In tal senso le Sezioni unite si sono espresse ripetutamente, escludendo la configurabilità di situazioni di interesse legittimo e della giurisdizione amministrativa in presenza di procedimenti di diritto privato (tra le numerose: Cass. s.u. 28 gennaio 1998, n. 847; 19 novembre 2001, n. 15539; 27 giugno 2002, n. 9342). E, con specifico riguardo al tema del lavoro pubblico “privatizzato” è stato ricondotto al diritto soggettivo l’interesse pregiudicato da decisioni che, non incidendo direttamente sui rapporti di lavoro dedotti in giudizio, determinavano taluni assetti organizzativi del personale, assunte in esito a procedimenti riconducibili all’esercizio dei poteri del privato datore di lavoro (vedi Cass. s.u. 18 aprile 2003, n. 6348; 2 luglio 2003, n. 10464).

 

Ancora, per Cass., SS.UU., 24 febbraio 2000, n. 41 – Pres. Grossi, Est. Roselli, “…per effetto delle leggi di riforma del pubblico impiego nei rapporti di lavoro non è dato identificare interessi legittimi di diritto pubblico; una volta fondato il rapporto su base paritetica, ad esso rimane estranea ogni connotazione autoritativamente discrezionale e quand’anche la lesione lamentata dal prestatore di lavoro derivi dall’esercizio di poteri discrezionali dell’amministrazione datrice di lavoro, la situazione lesa dovrà qualificarsi come interesse legittimo di diritto privato, da riportare, quanto alla tutela giudiziaria, all’ampia categoria dei diritti di cui all’art. 2907 c.c.”.

 

Pertanto, e conclusivamente, il diritto de quo può essere considerato come “potestativo”, che si esercita con la semplice dichiarazione del titolare del potere, nel caso di specie, del docente a tempo indeterminato.

 

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