A cura di Enrica Bienna
Perché insegnare l’italiano ai ragazzi italiani. E come.
Paolo E. Balboni, Marsilio Editori, 2017
I destinatari di questo prezioso volumetto sono, per primi, gli insegnanti di italiano, ma la questione trattata riguarda tutti gli insegnanti e dovrebbe riguardare anche tutti quei giornalisti, opinionisti, intellettuali, lettori, che, sgomenti di fronte alla “crisi” dell’italiano e alle evidenti carenze delle competenze linguistiche degli alunni italiani, animano da tempo il dibattito sulla decadenza della lingua, ma appaiono più inclini a individuare cause e a proporre soluzioni in modo autonomo, che, a tener conto del parere degli esperti – cioè dei linguisti –, addirittura ignorano, mettendo perfino in discussione gli apporti che gli studi linguistici hanno dato all’insegnamento delle lingue dagli anni Settanta in poi.
Paolo Balboni, docente universitario e studioso di glottodidattica, è tra i massimi esperti di didattica delle lingue nelle università italiane e dirige il Centro di ricerca sulla didattica delle lingue di Ca’ Foscari. Trent’anni di ricerca e di sperimentazione sul campo e il contatto costante con la scuola reale lo spingono a fare un po’ di ordine e chiarezza tra le idee approssimative, gli arroccamenti sulla tradizione, gli slogan qualunquistici ed un semplicistico ritorno ad ortografia, grammatica e sintassi, con cui il tema dell’insegnamento della lingua viene affrontato dall’opinione pubblica.
L’autore parte dunque con il chiarire che cosa significa “sapere l’italiano” (Cap. I), sottolineando la differenza tra “sapere usare l’italiano” e “sapere sull’italiano”, che ne sono le distinte anche se complementari componenti.
Non necessariamente la seconda, come ancora erroneamente si crede, è determinante per possedere la prima perché, come dice l’autore, “Insegnare italiano ha due significati: insegnare a usare l’italiano (ossia sviluppare la padronanza della lingua: parlare e comprendere, leggere e scrivere, dialogare, tradurre, riassumere, ecc.), e insegnare come funziona l’italiano” (ossia fornire gli strumenti e i metodi necessari per analizzare la lingua in modo autonomo). Su questi due significati vanno costruiti dunque “due percorsi differenti, come natura e metodologia”.
Alla fine della trattazione, il lettore avrà ricavato una mappa orientativa dei concetti, dei modelli e delle metodologie didattiche relative ai due campi di indagine.
Si tratta per lo più di concetti basilari nella conoscenza linguistica e nella didattica della lingua, entrati da tempo a far parte delle Indicazioni ministeriali, ma che evidentemente non sono acquisiti da tutti i docenti, se è vero, come è vero, che il MIUR ha ritenuto di dover istituire un apposito gruppo lavoro dedicato al miglioramento dell’insegnamento dell’italiano (D.M. 499 del 10 luglio 2017).
Condiviso dunque il quadro di riferimento teorico, il volume entra nel vivo del problema didattico: se sono corretti i dati relativi alle insufficienti competenze linguistiche degli studenti italiani, quali ne saranno le cause, e come fare per eliminarle? Come invertire la tendenza in atto?
E se i dati dimostrano che ciò che manca ai preadolescenti è prima di tutto la motivazione a studiare l’italiano, come crearla?
L’autore osserva preliminarmente che i preadolescenti adoperano prevalentemente la lingua madre nei contesti di vita quotidiani, nelle relazioni comunicative ristrette, caratterizzate dagli scambi “tra pari”, tanto da non avvertire l’insufficienza della loro capacità di comprendere, di produrre e di manipolare la lingua: Che bisogno c’è di studiare l’italiano? Tanto l’italiano “si sa”.
Da questo punto di vista, il primo e più importante degli interventi riguarderebbe dunque l’aspetto motivazionale dell’apprendimento, e un orientamento in questo campo ci può venire dai “modelli teorici di motivazione” già applicati all’educazione linguistica (un’analisi dei modelli più noti è presentata nel cap.2).
Da questo punto di vista, risulta fondamentale, come molti insegnanti già sanno, la personalità del docente nel coinvolgere gli allievi nella comunicazione e la sua capacità di creare situazioni di apprendimento motivanti, improntate alla piacevolezza, alla varietà, alla qualità estetica dell’input, al rispetto delle diverse intelligenze…
Entrando poi nel merito della didattica, altrettanto fondamentale – dimostra l’autore – è la capacità del docente di diversificare strumenti e metodologie, adeguandole agli oggetti dell’insegnamento. Una cosa è infatti esercitare le abilità comunicative degli allievi, un’altra cosa è esercitare la riflessione sulla lingua.
Di questa ultima infine va valorizzato, in particolare, il contributo offerto all’esercizio e allo sviluppo della abilità cognitive degli allievi.
La vasta gamma di esercizi, attività, interventi che l’autore propone sarà certamente di aiuto pratico e di stimolo alla riflessione per i docenti di italiano.
Il libro lascia ovviamente aperti diversi ambiti problematici: ad esempio, resta in ombra il tema della trasversalità della lingua e della incisività e fondamentalità dell’apporto delle diverse discipline all’esercizio delle abilità comunicative.
Così la relazione tra ambito linguistico e ambito cognitivo viene ben chiarita quando si affronta il campo della riflessione sulla lingua, mentre sarebbe altrettanto utile, ai fini didattici, indagare la intima connessione tra abilità linguistiche e abilità cognitive, connessione, questa, che determina la qualità delle diverse performance comunicative, come gli studi di psicolinguistica dimostrano.
Resta agli insegnanti il compito più arduo: la realizzazione di un curriculum di educazione linguistica che parta dalle prassi comunicative dei ragazzi nei loro contesti di realtà, e riesca a sviluppare reali competenze linguistiche, coinvolgendo gli insegnanti delle diverse discipline e tenendo insieme gli elementi di complessità che il professore Balboni ha con chiarezza esplicitato.
Fonti normative
D.M. 10 luglio 2017, n. 499