di Rita Bortone
Molte volte su questa rivista abbiamo ragionato sulle forme della progettazione educativa e didattica, soprattutto dopo l’avvento delle Indicazioni per il curricolo nella scuola di base e delle Indicazioni o Linee guida negli istituti secondari di II grado.
E tuttavia molti dei nostri lettori, dirigenti e docenti, continuano a porsi domande sul chi, sul cosa, sul come di una pratica progettuale che sembra diventare sempre più complessa.
Può risultare dunque utile, anche rubando stralci da articoli già pubblicati, focalizzare gli aspetti più problematici della pratica progettuale nel suo insieme, per ricavarne indicazioni funzionali ad un suo miglioramento.
NO ai pur nobili intenti, per una progettazione funzionale
Fuori dalla scuola non si progetta nulla se non in funzione di qualcosa di definito da ottenere. E quindi non si progetta nulla che poi non venga controllato nei processi e verificato negli esiti.
Nella scuola può accadere, per motivi che hanno profonde radici nella storia della stessa scuola, che si progetti perché si deve progettare, ma che tale pratica sia sostanzialmente indipendente sia da bisogni (formativi) preventivamente individuati, sia da risultati (formativi) che si intende ottenere.
La cultura progettuale, in verità, già non brilla nelle azioni ministeriali: tutte le riforme e le indicazioni nazionali raccontano infatti di principi democraticissimi cui non seguono strumenti di attuazione, di obiettivi elevatissimi cui non corrispondono risorse finanziarie e umane, di nuovi organismi e nuovi incarichi e nuove attività cui non corrispondono i tempi previsti dai contratti, di certificazioni di competenze cui non corrispondono accertamenti attendibili e trasparenti valutazioni…
Non c’è dunque da stupirsi se i vizi del centro si riscontrino anche nelle periferie: in misura diversa e con forme diverse per i diversi ordini di scuola, nessun ordine è dunque immune da carenze o vizi progettuali. Non posso non ricordare che Domenici, nel 2008, sosteneva di trovare raramente, nel materiale documentario prodotto dalle scuole, “qualcosa che presenti, se non tutti, almeno buona parte degli elementi distintivi di un vero e proprio progetto formativo contestualizzato …e che offra dati e informazioni affidabili sugli esiti della sua verifica sul campo e sulle eventuali modificazioni apportate”. L’autore sosteneva in sostanza che “la pratica della progettazione, più che una realtà consolidata, pare l’ostentazione di un ossequio formale alla imposizione normativa, ridotta così a una sorta di elencazione di pur nobili intenti, di vere e proprie petizioni di principio, evocati vieppiù liturgicamente all’apertura di ogni anno …”.
Questa elencazione di nobili intenti è spesso una caratteristica che ahimé riguarda la progettazione formativa delle nostre scuole ai diversi livelli ai quali essa è praticata: dal POF ai cosiddetti curricoli, alle programmazioni dei Consigli di classe, alle Unità d’apprendimento, ai numerosi progetti specifici…
E sempre più nobili e sempre più elencati sono diventati gli intenti dichiarati nelle carte da quando nella scuola è entrata la competenza, elemento salvifico il cui lessico ormai copre ogni bruttura, attraversando gli intenti e pervadendo le carte. Poco importa se l’elencazione è ripresa pari pari dai documenti ministeriali e riportata sulla carta d’Istituto con un copia e incolla: essa occupa pur sempre una buona quantità di pagine e, nella sua foderina colorata e graficamente ben curata, fa una gran bella figura sulla scrivania del dirigente scolastico.
PER CONTINUARE A LEGGERE QUESTO ARTICOLO DEVI ESSERE ABBONATO! Clicca qui per sottoscrivere l’abbonamento