• sabato , 21 Dicembre 2024

Per una cultura e formazione digitale

Prefazione al “Quaderno”, a cura di Marco Graziuso, “Per una cultura digitale”

Di Fabio Scrimitore

Anche se non tutti gli studiosi  la condividono, la definizione di storia che ne dà la generalità dei manuali  scolastici è pressappoco questa: narrazione dei fatti  e degli eventi umani che si sono succeduti sin dal tempo dell’invenzione della scrittura, cioè di tutte le forme grafiche con le quali le persone si sono espresse nella loro millenaria evoluzione. Son dovuti passare più di un milione e mezzo di anni perché i predecessori dell’homo sapiens sapiens potessero incominciare a parlare.  Sono trascorsi più di duemila anni fra il tempo in cui le antiche popolazioni vissute fra le valli del Tigre e dell’Eufrate  si esprimevano con il linguaggio cuneiforme ed il tempo in cui in Grecia  Pisistrato, per inculcare negli ateniesi la consapevolezza della grandezza della loro discendenza achea, fece comporre con i caratteri d’origine fenicia della scrittura alfabetica i Poemi Omerici. E ne son passati duemilacinquencento di anni dalla nascita della democrazia ateniese, sino al tempo in cui la fervida immaginazione di Alan Touring ha sollecitato  la genialità matematica del XX secolo, tanto da spingerla ad  utilizzare la numerazione binaria per comporre  l’archetipo di un nuovo linguaggio scritto, che inevitabilmente avrebbe avviato al tramonto l’uso della penna a sfera e della matita di grafite.

Dai resoconti proto-statistici dei divulgatori di antropologia si potrà  dedurre quanti secoli siano stati necessari alle comunità organizzate nell’ olocene affinché i loro componenti  si alfabetizzassero, servendosi più o meno correttamente dell’uso della scrittura nella quotidianità.

Oggi basta il tempo di una sola generazione perchè le persone che a malapena si sono alfabetizzate prima  che si affermasse la cultura digitale si allineino ai nativi digitali nelle loro relazioni sociali.

Fra i ricercatori che osservano le singolarità della vita associata, per individuarvi le tappe della periodizzazione storica, si troverà, forse,  chi aggiungerà nei futuri libri digitali di storia un neologismo – quale epistoria -, che potrebbe integrare la successione dei termini di  preistoria, protostoria e storia, per far conoscere  agli studenti del futuro che il XIX secolo ha segnato la conclusione della scrittura chirografica, ossia di quel modo di scrivere a dita unite, che con tanta cura le pazienti insegnanti della scuola primaria continuano a fare apprendere ai piccoli scolari, aiutandoli poi a schiudere le stesse dita sopra  la tastiera dei computer, per avviarli alla frequentazione di quel mondo magico, vivacizzato da lettere alfabetiche e laicissime icone,  da intuitivi emoticon e da stilizzati simboli della realtà.

Quel mondo di simboli digitali che i bambini trovano a scuola è per loro più che familiare,  potendolo osservare da mattina a sera  negli smartphone di papà e  mamma, sicché lo rivisitano con piacere, se non proprio con entusiasmo, anche a scuola, perché quello è il loro mondo, dove sembra che si trovino a loro agio, come se per loro fosse un gioco. 

Ma, quando sono impegnati nella quotidianità operosa delle loro professioni, non tutti i papà e le mamme di quegli scolaretti vivranno con la stessa vivace serenità dei figli le ore trascorse con le dita sulla tastiera d’ un computer. Medici ed avvocati, giudici e notai, dirigenti d’azienda e funzionari amministrativi, nati nel tempo in cui non erano ancora comparsi sulle scrivanie degli uffici i grandi M24 di Adriano Olivetti, dovranno fare appello a nuove risorse personali per adattare il loro modo di pensare, e soprattutto le loro abilità manuali, alla velocità con cui, ad ogni clic del mouse, il microprocessore del portatile o dello smartphone elabora i dati e le informazioni programmate dalla piattaforma operativa gestita dal sistema informatico.

Lo avevano previsto i diversi ministri che sono stati chiamati ad adattare le strutture organiche della Pubblica Amministrazione alle incessanti innovazioni suggerite dalla ricerca scientifico-tecnologica delle Università e dei Laboratori di Ginevra, della Silicon Valley e di Seul, fino a giungere a Steve Jobs, Bill Gates e soci.  Ne sono stati ben consapevoli anche i diversi ministri della scuola pre-universitaria che, almeno dai primi anni ’90 del secolo scorso, hanno incluso l’aggiornamento del personale dell’amministrazione scolastica fra le priorità operative, aprendo gli orizzonti della digitalizzazione delle funzioni amministrative ai pochi dipendenti nativi digitali, come a quelli ai quali la non lontana prospettiva della quiescenza rendeva meno gradita la pur necessaria riqualificazione professionale.

La modesta ventata di rivnnovamento del personale amministrativo scolastico, conseguente all’alternanza fra le generazioni, ha suggerito  a Marco Graziuso, generoso e prezioso dioscuro di Scuola & Amministrazione,  di porre a disposizione di coloro che oggi sono chiamati ad operare ai terminali delle segreterie delle scuole  un sintetico, ma organico, corpus amministrativo,  per aiutare soprattutto coloro che non hanno avuto la possibilità di far propri i linguaggi digitali ad orientarsi agevolmente nei meandri del complesso ordinamento giuridico che regola i rapporti fra la Pubblica Amministrazione ed il cittadino, al tempo della non più rinviabile stagione della digitalizzazione dei procedimenti.

“Le nuove linee guida sulla formazione, la gestione e la conservazione dei documenti informatici  rappresentano il focus del Quaderno”

Questo forse penserà il lettore delle prime pagine del prezioso saggio; però, man mano che ne scorrerà le  varie sezioni, potrà constatare che, da raffinato frequentatore di letteratura e dicitor di versi, l’autore – si parva licet componere magnis  –  si propone al lettore con la stessa modestia con la quale Virgilio accompagna  Dante nei tre regni delle “ombre vane fuor che nell’aspetto”. Gli pone sotto gli occhi il fondamentale testo unico del 2000 sulla documentazione amministrativa per ricordargli che al cittadino non si possono più chiedere certificazioni riferite a servizi prestati presso altre pubbliche amministrazioni e che le autocertificazioni dei privati debbono essere sempre controllate, singolarmente oppure a campione.

Come se fosse un pittore del Quattrocento, egli compone per il lettore un trittico da conservare gelosamente  in un cassetto della scrivania, avendo a mente gli sforzi che il legislatore ha fatto sin dall’agosto del 1980 per concedere al cittadino il diritto di chiedere all’’Amministrazione Pubblica copia di tutti gli atti che siano necessari per la tutela di un interesse attuale, che la legge gli riconosca; e, ancora, quanti progressi abbia fatto lo Stato in questa direzione, riconoscendo nel 2013 al cittadino il diritto di accesso che gli consente di aver copia degli atti che l’Amministrazione avrebbe dovuto pubblicare, nonchè il diritto di chiedere e ottenere copia di qualunque atto di gestione della Pubblica Amministrazione, senza neppure l’obbligo della motivazione.

Sapientemente le pagine del saggio richiamano l’attenzione del lettore sulla natura specifica del concetto di diritto, definito come una situazione di vantaggio personale, alla quale non può non corrispondere una opposta situazione di svantaggio d’altri; talchè il pubblico amministratore non può ignorare che esiste un settore della legislazione che limita la concessione del diritto d’accesso alle sole situazioni in cui l’esercizio di tale diritto non leda un diritto altrui, che sia riconosciuto degno di maggior tutela dall’ordinamento. Se ne è fatto carico non soltanto lo Stato con il Codice della privacy, ma vi hanno rivolto puntuale attenzione anche le Istituzioni dell’Unione Europea con il Regolamento del 2016 sulla Protezione dei dati personali (GDPR).

Forse, a qualcuno degli operosi Direttori dei servizi generali ed amministrativi e a qualche Assistente amministrativo, che sarà rimasto come Edipo davanti all’enigma della Sfinge leggendo, fra le pagine delle menzionate Linee guida, che  sul documento informatico possono essere apposte quattro tipologie di firma (elettronica, elettronica avanzata, elettronica qualificata, digitale), l’autore di questo saggio  potrà dar serenità, con la sua chiara definizione delle differenze semantiche fra quelle firme e della loro relazione significativa con la posta elettronica certificata. 

Dinnanzi alla varietà ed alla ricchezza del lavoro, val bene citare Colui del quale si celebra il settecentesimo anniversario della morte:

“Io non posso ritrar di tutto a pieno,/ però che sì mi caccia il lungo tema, che molte  volte al fatto il dir vien meno”.

Sembra, comunque, che spiri, fra le pagine del prezioso lavoro, una leggera brezza di fiducia verso la Pubblica Amministrazione, i cui dipendenti, partendo da una condizione di comprensibile diffidenza culturale per le innovazioni in materia di digitalizzazione dei procedimenti e degli atti, stanno risalendo l’impegnativa china.

A questi operatori della scuola l’autore offre il suo apprezzabile contributo.

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