Di Alessia Russo (studentessa Liceo Scientifico “De Giorgi” di Lecce)
Al giorno d’oggi incontriamo troppo spesso messaggi superficiali e fuorvianti trasmessi da tutti i media. Di fronte allo spot “La violenza non si combatte un solo giorno all’anno, ORA basta”, che viene proposta da compagni, compagne e rappresentanti d’Istituto della mia scuola, non posso e non voglio restare zitta, perché ho sulle spalle il peso del mio sapere e un dovere interiore e politico di dire che realizzare uno spot propagandistico non è di vero “aiuto” a chi vive la violenza. Nonostante in questo periodo chiunque cerchi di “sensibilizzare” e parlare di violenza, avvengono tanti fatti gravi e nessuno ne parla davvero, dal di dentro e accanto. Tutto ciò mi fa riflettere su quanto questi messaggi, diffusi con tono di “padronanza” del tutto”, siano superficiali e aventi l’intento di suggerire una soluzione, come se fosse la cosa più facile del mondo. Senza soffermarsi nella ricerca dell’origine di “tutto” e su cosa voglia dire agire violenza su una donna. Sicuramente è fondamentale avere altra “padronanza” e conoscenza della base culturale, sessista, ancora patriarcale, insita nella nostra società, e che rappresenta uno dei pilastri della violenza.
Allora mi chiedo, come si può parlare senza conoscere, senza sentire? Annusando quello di cui possiamo usufruire e poi fare, senza pensiero e senza consapevolezza del limite? Come si può voler lanciare un messaggio contro la violenza se nelle stesse parole che vengono usate c’è violenza? La parola stupro circola in messaggi video con una “licenza” senza pari, il richiamo alla responsabilità di dire, denunciare viene fatto sotto la minaccia della ritorsione: “perché potrebbe accadere anche a te o ai tuoi familiari, vicini”, e se non dovessi essere personalmente coinvolta sarebbe problema riguardante solo ignoti altri?
“Non è più tempo”, sì, direi, a chi si erge “padrone del tempo” e a chi punta così facilmente l’indice.
Se fossi una delle ragazze vittima di cybershaming, vedendo quel video mi sentirei attaccata un’altra volta dalla superficialità semplificata con cui viene trattato un tema così delicato e pesante allo stesso tempo. Non basta “ordinare” la denuncia puntando il dito sulla vittima. Una donna dopo aver subìto violenza, viene svuotata di ogni forza, prova una sorta di “vergogna prometeica” e un senso di paralisi riempie la sua coscienza. Arriva a disprezzare il suo modo di essere, a sentirsi sbagliata, perché non conforme a canoni dettati da altri; la cultura induce la donna a sentirsi colpevole di ciò che lei stessa ha subìto, per “essersela cercata”, per non essere stata nei limiti imposti dalla società. Credo invece che per aiutare davvero occorra conoscere, condividere le letture con cui ci siamo confrontate nel nostro gruppo e far capire anche la pericolosità di usare parole “inaccurate” e di non riflettere attentamente sulle parole che si usano. Questo non significa che ciascuno di noi debba essere pronto a capire, ma siamo certamente tutti e tutte tenuti/e ad aver cura e responsabilità delle parole.
Le parole sono pietre, cominciammo così, ad ottobre 2019 il nostro percorso. Le parole hanno il potere di svelare, come di occultare, importanti verità. La generalizzazione mescola le riflessioni in un “melting pot” che include tutto e confonde le singole forme di violenza. La violenza contro le donne è fenomeno diverso dal cybershaming o dal bullismo. Questa ormai frequente confusione è una forma di violenza alla lotta contro la violenza di genere. É come fingere che la violenza contro le donne non esista, perché la si priva della sua radice culturale patriarcale, sessista e discriminatoria basata sul genere.
A coloro che si “esibiscono” di là di una cattedra in video e dichiarano buona fede, direi che l’unica fede è quella di “apparire”. Questo è l’inganno. E agli uomini e alle donne “correnti”, dico che le “buone intenzioni” bloccano il mio pensiero, il mio poter vedere e poter dire.
Leggi gli altri contributi del gruppo “Pari, Ma Dis-pari”:
Benedetta Caldararo classe 5A, Liceo Scientifico “C. De Giorgi” – Lecce
Priscilla Eva Rescali classe 5A, Liceo Scientifico “C. De Giorgi” – Lecce
Maria Irma Pezzuto classe 5A, Liceo Scientifico “C. De Giorgi” – Lecce
Anastasia Pezzuto classe 5A, Liceo Scientifico “C. De Giorgi” – Lecce
Sara Persano classe 5A, Liceo Scientifico “C. De Giorgi” – Lecce
Sara Totaro Aprile classe 5A, Liceo Scientifico “C. De Giorgi” – Lecce
Enrica Greco classe 4D, Liceo Scientifico “C. De Giorgi” – Lecce