Il rischio, quello di creare “mafiosi eroi”. La scuola ha il dovere di sostituire “cerimonie” rituali, quanto inutili, per dare spazio ad attività utili ad apprendere sistemi, meccanismi, connessioni che intercorrono tra la società ed il diffondersi delle varie criminalità di tipo mafioso.
Abbiamo rivolto alcune domande al dott. Alberto Maritati, già procuratore aggiunto presso la Direzione Nazionale Antimafia e successivamente senatore della Repubblica.
A cura di R.Bortone
Da alcuni anni lei si occupa di progetti prevalentemente concernenti la “legalità” nelle scuole della Provincia di Lecce, nonostante la materia sia ampiamente trattata anche sulla scorta di interventi e direttive del Ministero dell’Istruzione e degli uffici periferici. Quali sono le ragioni del suo impegno?
La mia prima motivazione risiede nella convinzione che ognuno di noi ha verso la società il dovere di contribuire attivamente alla tutela ed allo sviluppo dei valori su cui si fondano la basi del vivere in comune.
I valori di cui parlo sono quelli chiaramente indicati e garantiti dalla Costituzione Repubblicana.
Dopo avere lavorato complessivamente, per 52 anni, da magistrato e da senatore, ho ritenuto di potere offrire un contributo utile a tali finalità, all’interno della Scuola che penso sia il più importante “strumento” per la difesa e lo sviluppo di una moderna democrazia.
E’certamente vero che nella Scuola da alcuni anni le occasioni per parlare di legalità sono divenute più che frequenti, ma penso che, dopo i primi esperimenti pure animati da sincero entusiasmo, si stia correndo il rischio di scivolare sul terreno della “ritualità” e quindi della superficialità, fattori che finiscono per vanificare, ai fini dei risultati di una didattica costruttiva, buona parte dell’impegno profuso.
Può specificare questo suo rilievo?
In alcune occasioni, nonostante l’indiscusso impegno e cura dei Dirigenti scolastici e di alcuni Docenti, ho verificato un preponderante aspetto “rituale” delle cerimonie in cui ad esempio le figure di “vittime illustri” delle mafie finiscono per essere quasi “santificate” e idealizzate, come personaggi eccezionali (nel senso di “eccezioni”) di cui avere sommo rispetto e ricordo…periodico. Proprio come si usa fare con i “santi patroni” che a date fisse vengono “festeggiati” ma che poi naturalmente sono “conservati” in attesa del prossimo annuale festeggiamento. Insomma intendo dire che le “cerimonie” in nome di Falcone, Borsellino, Livatino e di tante altre vittime meno note al grande pubblico, a parte i “festeggiamenti” non riescono sempre a trasmettere il vero “messaggio” che dal loro sacrificio dovrebbe scaturire…
Ogni tipo di “celebrazione” rischia di restare vana se non si approfondiscono i significati e le ragioni di quelle vite spezzate, e se non si forniscono esempi di come sia possibile svelare le trame ed i sistemi di attacco criminale allo Stato e alla Legalità, e di come sia possibile che altri, si spera sempre di più, seguano quel modello di vita.
Io quindi eliminerei ogni forma di “cerimonia” con inviti rituali quanto inutili delle “autorità civili e religiose”, con conseguenti interventi inutili e noiosi, per dare spazio alle attività utili ad aiutare gli studenti ad apprendere sistemi e meccanismi che caratterizzano la vita sociale e politica anche del nostro Paese e delle connessioni che intercorrono tra questi sistemi o costumi e l’insorgere ed il diffondersi delle varie criminalità di tipo mafioso.
Non è utile continuare a trattare il tema della “mafia” in termini giornalistici o televisivi che paradossalmente possono finire per agevolare la formazione di figure micidiali di “mafiosi eroi”; penso a molte pellicole sui “padrini” e sulle più recenti storie televisive (reality), così ben fatti da indurre perfino lo spettatore sprovveduto (quanti sono?) a “tifare” per il mafioso più buono o più bravo!
La scuola deve essere il luogo di “cultura”, nel senso più genuino e moderno possibile dove la storiografia fumettistica non possa trovare spazio.
In sostanza mi sta dicendo che nelle nostre scuole il tema della legalità, sebbene presente, non riceve la cura e l’insegnamento migliore?
Sono quasi quattro anni che frequento, in veste di “volontario” dell’antimafia e della Legalità, molti Istituti di scuola media inferiore e superiore ed ho incontrato Dirigenti e Docenti che con encomiabile e proficuo impegno si dedicano a questo annoso e delicato problema sociale. Ho solo voluto manifestare una preoccupazione che non è solo fondata su una mera ipotesi, che cioè la Legalità, la lotta alla Mafia o il richiamo ricorrente alla Costituzione possano essere trattate in modo prevalentemente formale. Per questa ragione credo possa essere di grande ausilio la cooperazione con risorse (gratuite) esterne, verso le quali pure la nostra Scuola voglia aprirsi. Il mio auspicio è che un numero crescente di Docenti avverta l’importanza vitale di uno sforzo didattico ed educativo in tale direzione, sforzo rispetto al quale nessuno può restare assente o distante.
Lei come si muove in questo settore che sottolinea essere di estrema delicatezza? Con quali tecniche “didattiche” affronta il colloquio e la esposizione con gli studenti?
Prima di ogni altro ho coinvolto nel mio progetto alcuni magistrati (Associazione Nazionale Magistrati), alcuni professori della Università del Salento, di diritto e sociologia, ed anche psicologi, al fine di evitare l’immagine del solo “esperto tuttologo” che entra nella scuola e spiega cos’è la mafia o la illegalità, corruzione ed Europa.
Siamo di fronte a fenomeni oramai ampiamente radicati nel tessuto sociale e diffusi anche in Paesi europei ed extra europei. Tanto basta per indurci a rappresentare una possibile “antimafia” legale e sociale, per quello che seriamente deve essere, vale a dire una “cultura” della legalità che si fondi sulla conoscenza seria del fenomeno.
Non è proficuo inoltre parlare ai giovani di Mafie senza prima spiegare loro ed indurli a conoscere la Costituzione, partendo dalle sue radici storiche ed ideali. Solo conoscendo la Costituzione è possibile ragionevolmente percepire ed efficacemente opporsi a tutto ciò che nel Paese non è ad essa conforme.
Ed inoltre sembra giunto il momento di trattare in modo corretto e profondo il fenomeno collaterale della “corruzione”, che rappresenta un vero cancro sociale, e dei suoi devastanti effetti. E ancora risulterà impossibile non parlare in modo adeguato dell’Europa, in modo da mostrare gli indispensabili effetti positivi di questa Entità sovranazionale rispetto alle mafie, alla corruzione, ai Diritti.
Lei per trentacinque anni ha svolto le funzioni di magistrato, è pensabile quindi che dia al suo impegno un taglio prevalentemente giuridico che potrebbe essere non del tutto idoneo per studenti di scuola media.
Niente affatto, raramente mi soffermo sull’aspetto legislativo o giuridico che attiene ai fenomeni di cui parliamo.
Con gli studenti parlo della vita, della vita nella società spiegando e facendo riflettere sui principi fondamentali della Costituzione, comprensivi di Diritti e Doveri, ponendo sempre in evidenza le origini e le “ragioni” per cui tali principi hanno poi raggiunto anche nel nostro Paese, il livello di “Valori” socialmente condivisi: la famiglia, col lungo percorso seguito per raggiungere il nuovo assetto “paritario”dei genitori; il lavoro come Diritto fondamentale delle Persone, senza necessità alcuna di “padrini” o mediatori di sorta; la libertà di pensiero e di espressione; il bando della guerra come mezzo di offesa; l’uguaglianza di tutti, e non solo dei “cittadini” ma delle “Persone”; il dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono ancora alla Costituzione di diventare una Realtà vissuta e non solo una “ipotesi” di realtà da realizzare. Insomma un modo pratico e coinvolgente di “raccontare“ le origini della nostra “Civiltà” in parte ancora da realizzare nei vari settori, privati e pubblici.
Tutto ciò scevro da richiami, più o meno espliciti, alle posizioni “partitiche”, perché se l’impegno risulterà corretto ed utile verso gli studenti, saranno loro “autonomamente” a sapere giudicare e scegliere.
Come reagiscono i ragazzi agli stimoli da lei offerti? Ci sono differenze d’interesse tra i più piccoli e i più grandi?
Non ho esperienza didattica, ho però una lunga pratica del “parlare in pubblico” che è tuttavia una esperienza non paragonabile con l’incontro di studenti di differenti età.
I giovani di scuola media sono più “impreparati” ma nel contempo più rispettosi dell”autorità”, ma poiché le ragioni della mia presenza nelle scuole sono del tutto estranee sia all’obbiettivo di ottenere “successo” che al vincolo del rispetto “formale”, con entrambe le categorie di studenti punto decisamente a farmi “accettare” e quindi “ascoltare”.
Per ottenere questo importante obbiettivo mi presento con decisone ma senza aggressività: “…mi chiamo…sono stato…ed ora sono ..un giovane di 77 anni….Perchè ridete…la scienza ha assicurato che il termine medio della vita si sta spostando verso i 140 anni e quindi…posso ben dire di essere un giovane… con qualche anno più di voi…”
Non sempre i ragazzi che incontro sono stati precedentemente preparati ad affrontare i temi su cui ragionare insieme, e quindi è necessario adottare piccoli stratagemmi per farsi ascoltare, per coinvolgerli, per tenere viva la loro attenzione e per farsi percepire come un adulto autorevole ma a loro vicino. Ovviamente i più grandi sono in condizione di porre domande e di problematizzare con maggiori elementi di informazione e di giudizio e con maggiore bisogno di capire la realtà che li circonda.
Non credo che lei abbia però fornito una risposta esauriente alla domanda relativa al compito delle scuole in questo delicato settore che sebbene non rientri in una “materia” di programma, non sembra potere essere trascurato.
Confermo il mio apprezzamento per l’impegno che le Scuole stanno profondendo verso i temi sopra citati, ma non posso nascondere una impressione che attiene al non sufficiente coinvolgimento del corpo dei docenti.
Non penso che tutti i docenti di un Istituto debbano impegnarsi in queste materie, ma è più che importante il coinvolgimento attivo dei Professori nella trattazione dei vari temi allo scopo di evitare che, dopo una relazione o un confronto tra relatore e studenti, il caso sia “chiuso”, come se il confronto o la “resistenza” alle illegalità potesse esaurirsi utilmente, con un ciclo di conferenze, senza che invece vi sia una continuità didattica sulla materia.
Ma da cosa dipende, a suo avviso, questo modesto coinvolgimento degli insegnanti?
Questa domanda mi pone il problema di dover formulare giudizi che non sono legittimato a formulare verso i Docenti, innanzitutto perché ho una esperienza assai limitata nelle scuole, che ho frequentato negli ultimi tre anni ed al solo scopo di realizzare i progetti cui ho fatto cenno prima.
Molta sensibilità e disponibilità al confronto ed alla collaborazione ho ricevuto da parte della gran parte dei Dirigenti e di alcuni professori delegati.
Per quanto attiene ai Docenti dei quali ho percepito scarso interesse e modesto coinvolgimento posso formulare solo due mere ipotesi.
Il corpo dei docenti da troppo tempo sente la mancanza di interesse da parte dei governi che si succedono alla guida del Paese e quindi esistono ragioni (delusioni) che potrebbero spiegare una sorta di caduta di quella “tensione ideale” che dovrebbe sempre caratterizzare lo svolgimento della “essenziale” funzione pedagogica in una scuola pubblica.
Se questa ipotesi corrispondesse alla realtà, sarebbe comunque assai più grave di quella generale “disaffezione” che da tempo si riscontra in altre professioni, per via della centralità ed essenzialità della funzione didattica ed educativa che la Scuola dovrebbe garantire ai fini del rafforzamento e dello sviluppo dello Stato Democratico.
La seconda ipotesi (certamente meno grave), potrebbe trovare una spiegazione nei modi con cui è generalmente costituito il gruppi degli studenti ammessi a frequentare i corsi dei progetti.
Se infatti il gruppo è costituito da studenti appartenenti a classi diverse, il disimpegno del docente delegato può esser dovuto alla circostanza di non dovere o potere offrire, dopo l’incontro con l’esperto esterno, la continuità di riflessione che la delicatezza e complessità degli argomenti e materie trattate imporrebbero.
Penso che anche per queste ragioni è giusto che la Scuola si apra, accettando un contributo “volontario e gratuito” da parte di energie e risorse esterne.