• domenica , 22 Dicembre 2024

L’urgenza di una svolta nelle attività di formazione dei docenti

di Antonio Santoro

Abstract

Dalla riflessione pedagogica e dalla ricerca di settore ancora la richiesta di cambiamenti significativi nei percorsi di formazione iniziale e nelle iniziative di formazione in servizio degli insegnanti: modifiche ritenute indispensabili dalla specificità dell’azione didattica nelle scuole di ogni ordine e grado, e per allontanarsi finalmente dalla considerazione dell’insegnamento come <una attività ‘di risulta’ fra le professioni intellettuali>.

Passano gli anni – anzi, i decenni –, cambiano i Governi e i Ministri dell’Università e dell’Istruzione, e si continua a parlare, in presenza di scelte e situazioni ancora inadeguate, di “elevazione dei livelli della formazione iniziale” e di “generalizzazione della formazione in servizio” (= FIS) dei docenti (1), per l’avvertita esigenza di dover garantire “alle nuove generazioni […] una formazione solida” in grado di “fornire a ognuno le capacità per vivere al meglio in una società complessa” (2). 

Le indicazioni migliorative non mancano di certo, ma da più parti si ritiene che esse non abbiano trovato ad oggi, a livello di sistema, le necessarie determinazioni attuative.

Sappiamo, infatti, per le precisazioni dell’OCSE e per le ripetute sottolineature di Luisa Ribolzi, che “la scuola dell’autonomia richiede una più elevata professionalizzazione dei docenti”, un profilo di insegnante, soprattutto,

– ‘padrone’ della/e propria/e disciplina/e, nonché consapevole della sua/loro rilevanza formativa;

competente nella progettazione / gestione dei processi di insegnamento-apprendimento;

aperto alla riflessività  e dunque alla riconsiderazione critica delle proprie scelte metodologico-didattiche e organizzative;

capace, infine, di motivanti relazioni educative.

E sappiamo pure che “Lo sforzo di ripensamento e potenziamento della professione docente deve investire anche il rafforzamento della normativa e degli standard professionali che guardi ad un sistema di formazione iniziale e continua degli insegnanti della scuola secondaria (e non solo – ndr) per andare oltre le conoscenze disciplinari, mentre serve assolutamente una specifica connotazione professionale che veda un passaggio da una visione della professione basata sulla più consolidata trasmissione delle conoscenze disciplinari ad una basata anche sulle competenze – psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca – considerate <tra loro correlate ed interagenti> e giocate in stretto rapporto con le finalità e gli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici di ciascun ordine e grado e con il piano dell’offerta formativa dell’istituto” (3). 

Sappiamo da tempo quanto innanzi richiamato e tuttavia, a proposito della formazione inziale dei docenti, non è ancora previsto da noi, come in altri Paesi, “un percorso universitario integrato, in cui si apprendono parallelamente la disciplina e il modo per insegnarla”. Si tratta di un modello formativo da preferire, secondo l’Associazione TreeLLLe, per una “motivazione […] relativamente semplice: separare la laurea disciplinare dalla formazione ad insegnare significa sostanzialmente negare alla funzione di insegnante un proprio status professionale autonomo. Per fare il medico, non ci si laurea prima in chimica, fisica, biologia, ecc.: si segue un percorso che integra fin dall’inizio fra loro le conoscenze e le pratiche necessarie. Lo stesso accade per la professione di ingegnere, di avvocato, di agronomo: insomma per tutte le vere professioni. Solo per l’insegnamento si crede ancora – sbagliando, come l’esperienza dovrebbe aver dimostrato – che prima ci si debba preparare alla ricerca pura in un ambito disciplinare e poi adattare quel che si è appreso per fare un lavoro diverso, che ha una sua precisa identità e caratteristiche del tutto distinte” (4).  

Anche per quanto concerne la formazione in servizio, la riflessione pedagogica indica e sollecita cambiamenti significativi, che spesso sembrano andare, sostanzialmente, nella direzione del recupero di una specifica posizione del CERI (Centre Educational Research and Innovation): il quale chiede da tempo, alla politica, di riconoscere e favorire, sul versante FIS, la centralità del ruolo dell’unità scolastica, senza che ciò comporti, naturalmente, una marginalizzazione, e quindi una sottovalutazione, del protagonismo di altri soggetti promotori, istituzionali e non. Riconoscimento della centralità del ruolo della singola istituzione scolastica vuol dire caratterizzarla e qualificarla, anche in relazione alla funzione docente, come luogo privilegiato di rilevazione e analisi di bisogni formativi, e – conseguentemente – di progettazione e realizzazione di appropriate esperienze di FIS, in grado di determinare la partecipazione interessata e dunque attiva dell’insegnante perché sostenuta dalla prospettiva e dal convincimento che le esperienze medesime, definite in sede scolastica, possono “dargli un contributo per affrontare i problemi che gli si pongono nel proprio specifico percorso professionale” (5).   

Comunque, non si ritiene più possibile che sia gli itinerari di formazione iniziale dei docenti che le proposte/iniziative di FIS degli stessi vengano definiti a prescindere dagli attributi specifici dell’insegnamento, il quale è – come sostiene Elio Damiano – <azione che si esercita “sopra” l’oggetto culturale e “sopra” il soggetto in apprendimento (6): vale a dire attività di trattamento/ristrutturazione di contenuti culturali, “scientificamente rilevanti e socialmente legittimati”, al fine di renderli disponibili all’apprendimento degli alunni, cioè di predisporli in modo da poter essere appresi, assimilati e interiorizzati nel contesto scolastico “in condizioni di sicurezza, di protezione dai rischi dell’esperienza diretta” (7).

Le prospettive di formazione in precedenza delineate possono contribuire certamente, in misura non irrilevante, ad abbandonare la considerazione – tutta italiana – dell’insegnare come <una attività “di risulta” fra le professioni intellettuali […]. I rimedi per evitare questa deriva, in cui la funzione docente ha finito con l’avvitarsi e perdere prestigio, sono in parte già impliciti nel modello auspicato per la formazione iniziale. Insegnare deve essere una prima scelta, riservata ai migliori: una scelta che si fa quando si inizia il percorso universitario e non quando tutte le altre porte sono ormai chiuse> (8).   

Note

1) Guglielmo Malizia, Politiche educative di istruzione e di formazione, FrancoAngeli, Milano 2019, p. 51;

2) ivi, pp.23-24;

3) Adolfo Braga, “Ricominciare dagli insegnanti”. Le competenze per l’insegnamento, in A. Braga con Daniela Di Nicola, La progettazione formativa per il cambiamento organizzativo, Pearson, Milano-Torino 2019, p. 117;

4) Attilio Oliva e Antonino Petrolino, Il coraggio di ripensare la scuola, TREELLLE, Quaderno n. 15 – aprile 2019, p. 78;

5) A. Braga, cit., p. 88;

6) Elio Damiano, L’azione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Armando Editore, Roma 1993, p.

7) cfr. ivi, pp. 205-2013;

8) A. Oliva e A. Petrolino, cit., pp. 80-81.

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