Scuola e Cassazione
di Saverio Prota
Per infortunio in itinere si deve intendere l’infortunio occorso al lavoratore nel percorso per andare al lavoro o durante uno spostamento per ragioni di lavoro.
La definizione normativa è contenuta nell’art. 12 del D. Lgs. 38/2000, che cosi recita:
”Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, “non necessitate”, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’interruzione e la deviazione si intendono “necessitate” quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L’assicurazione opera, tuttavia, anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché “necessitato”. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida“.
Sull’argomento, nel corso degli anni, si sono susseguite numerose sentenze della Suprema Corte, fino alla più recente del 20 ottobre 2014, che ci obbligano ad una approfondita riflessione, tenuto conto che l’orientamento giurisprudenziale è stato sempre costante e uniforme e che può essere cosi sintetizzato:
“In tema di infortunio in itinere, occorre, per il verificarsi dell’estensione della copertura assicurativa, che il comportamento del lavoratore sia giustificato da un’esigenza funzionale alla prestazione lavorativa, tale da legarla indissolubilmente all’attività di locomozione, posto che il suddetto infortunio merita tutela nei limiti in cui l’assicurato non abbia aggravato, per suoi particolari motivi o esigenze personali, la condotta extralavorativa connessa alla prestazione per ragioni di tempo e di luogo, interrompendo così il collegamento che giustificava la copertura assicurativa; pertanto, il rischio elettivo, escludente l’indennizzabilità e che postula un maggior rigore valutativo, rispetto all’attività lavorativa diretta, implica tutto ciò che, estraneo e non attinente all’attività lavorativa, sia dovuto a scelta arbitraria del lavoratore, che abbia volutamente creato, ed affrontato, in base a ragioni ed impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente la sua attività lavorativa e per nulla connessa ad essa ( Cass. n. 6449 del 1998; Cass. n. 19047 del 2005).
L’uso del mezzo proprio, con l’assunzione degli ingenti rischi connessi alla circolazione stradale, deve essere valutato dunque con adeguato rigore, tenuto conto che il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio di incidenti (Cass. n. 19940 del 2004)”.
Ma cosa ha sancito l’ultima sentenza della Cassazione Civile, sezione lavoro, n. 22154, del 20 ottobre 2014, in accoglimento del controricorso dell’Inail contro la pretesa del lavoratore interessato di ottenere sia la rendita che l’indennità di inabilità temporanea?
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