Al principio della confusione – Al tempo degli argini smottanti – Il profondo Novecento – Per salvarci dall’apparenza – Dove tutto quello che può avvenire è già avvenuto – Quando sognare da soli non basta – Soltanto una faccenda di casa – L’indispensabile inutilità del classici – La libertà del dilettante – Quella cosa chiamata passione – La perfetta rassomiglianza
di Antonio Errico
Ciascuno di noi pensa che ci sia qualcosa che possa cambiare il mondo. Ciascuno di noi pensa qualcosa di diverso da chiunque altro o, se pensa la stessa cosa di un altro, comunque la pensa in modo diverso.
C’è qualcuno che pensa che il mondo possa essere cambiato dalla letteratura, per esempio. C’è qualcuno che per un pensiero del genere prova quasi un moto di sdegno. C’è qualcuno che ci crede fino ad un certo punto e poi ci crede di meno e poi non ci crede più. C’è qualcuno che fino ad un certo punto non ci crede e che da quel punto in poi comincia a crederci più o meno astrattamente, più o meno concretamente.
Ma tanto quelli che ci credono quanto quelli che non ci credono dovrebbero compiere l’impresa di attraversare le pagine delle Lezioni di letteratura di Vladimir Nabokov. Per smentita o per conferma, quale che sia la cosa che pensano.
Ho ripreso quel libro: con le sottolineature a matita e a penna, con gli appunti a piè di pagina che si decifrano a stento. Ho cominciato a leggere dalla fine, dall’ultima pagina, dal congedo. Scoprendo la straordinaria coerenza del libro con la condizione culturale di questi tempi. Se Nabokov lo avesse scritto oggi, probabilmente non avrebbe cambiato niente, non avrebbe avuto bisogno di cambiare niente. Forse perché la letteratura trascende i tempi, sconfina da quelli ai quali appartiene geneticamente per trovare un’appartenenza trasversale, ulteriore, sempre nuova e sempre differente.
Congedandosi dagli studenti, dunque, Nabokov dice che i romanzi analizzati con loro nel corso delle lezioni non possono insegnare niente di applicabile a un qualunque problema della vita. Non aiutano in cucina, in caserma, in ufficio. Non servono a capire l’economia, e neppure i segreti del cuore di un giovane o di una donna. Forse possono soltanto insegnare a sentire la pura soddisfazione che offre un’opera d’arte ispirata e precisa. Niente più di una soddisfazione.
Quelli che credono che la letteratura possa cambiare il mondo e quelli che invece non ci credono dovrebbero rifletterci un poco. Perché forse, sia in un caso che nell’altro, sbagliano completamente prospettiva, attribuiscono o negano alla letteratura un valore che non ha e non pretende di avere, suppongono che possa essere utile a qualcosa di pratico, immediato, comunque funzionale al presente, che abbia una finalità predeterminata, un obiettivo preciso. La confondono con la realtà. Ma la letteratura rappresenta il contrario della realtà. Quando si confronta con essa e di essa si serve, lo fa per superarla, per distaccarsene, qualche volta per contraddirla, per confutarla.
Così lascio la fine del libro e vado all’inizio, saltando le lezioni su “Mansfield Park” di Jane Austen, “Casa desolata” di Charles Dickens, “Madame Bovary” di Gustave Flaubert, “Il Dottor Jekill e Mister Hyde” di Stevenson, “La strada di Swann” di Proust, “La metamorfosi” di Kafka, “Ulisse” di Joyce.
Vado direttamente al punto in cui Nabokov dice che la letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzo, gridando al lupo al lupo, uscì di corsa dalla valle di Neanderthal con un grosso lupo alle calcagna; è nata il giorno in cui un ragazzo arrivò gridando al lupo al lupo, e non c’erano lupi dietro di lui.
Non ha nessuna importanza, aggiunge Nabokov, che il ragazzino, per aver mentito troppo spesso, alla fine sia stato divorato da un lupo. L’importante è che tra il lupo del grande prato e il lupo della grande frottola c’è un magico intermediario: questo intermediario, questo prisma, è l’arte della letteratura.
Quelli che credono che la letteratura possa cambiare il mondo e quelli che credono che non possa cambiare assolutamente niente adottano un metro che condiziona il loro giudizio, alterandolo.
La letteratura non è di questo mondo. E’ di un mondo completamente inventato, falso, finto, truccato, artificioso.
La letteratura racconta delle storie, ma non è la Storia. Non serve a comprendere il passato perché di esso le arrivano soltanto figure opache, e non serve a comprendere il presente perché, mentre lo sta osservando e si sta sforzando di decifrarlo, è già passato.
La letteratura non è il mondo, non è la realtà. Ma quando è davvero letteratura, prefigura la realtà che dovrà essere, preannuncia il mondo che dovrà venire.
E’ questa la funzione terribile della letteratura con cui quelli che credono che possa cambiare il mondo e quelli che non ci credono sono costretti a confrontarsi, più o meno consapevolmente. Quando sembra che stia parlando del passato, sta bleffando: il passato le serve per una riconfigurazione e per una proiezione, ne prende gli elementi fondanti per manipolarli e trasformarli in forme che nascondono condizioni di futuro.
La letteratura dice: il lupo finto della fiaba può trasformarsi in lupo vero e può sbranarvi. Dice: se nella fiaba vi racconto di un lupo finto, è comunque dalla realtà che lo sto prendendo. Dice: non illudetevi che possa restare finto per sempre, che possa restare per sempre nella fiaba.
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