Il quesito riguarda l’annullamento per plagio di un compito svolto in classe
Autore del quesito è il genitore di uno studente che frequenta la 3^ classe di un Liceo scientifico delle scienze applicate, che chiede se sia legittimo l’annullamento per plagio, di un elaborato svolto in classe dal figlio.
Al papà dello studente del terzo anno di liceo linguistico statale aveva generato una forte perplessità la decisione, assunta dal professore di lettere, a conclusione della seconda ora di lezione. Era il giorno programmato per lo svolgimento del primo compito in classe di italiano del primo quadrimestre. Tutto sembrava che si stesse svolgendo senza la tensione che generalmente appare sui volti degli studenti durante le due ore assegnate per il compito scritto di matematica, o per quello di fisica. Le prime due, delle 6 ore, che ordinariamente si assegnano nei licei per il tema di italiano, in genere passano tranquille. Gli studenti leggono e rileggono la traccia; specialmente quando il professore ne detta più d’una analogamente a quel che avviene nella prima prova scritta degli esami di Stato che concludono il corso liceale. In queste circostanze ordinarie, i giovani son soliti sfogliare ripetutamente il dizionario della lingua italiana, o chiedono al professore in vigile perlustrazione fra i banchi, qualche delucidazione sulle tracce dei temi assegnati.
Il giorno al quale ci si riferisce, il professore aveva assegnato agli studenti una sola traccia del tema di italiano, una traccia singolarmente breve, quasi sincopata: Dante ed il dolce stil novo. Si pensa spesso che le tracce di breve estensione siano quelle che sarà più facile svolgere. Ma è un’idea, questa, non molto fondata, perché i larghi confini espressi dalla traccia sincopata possono indurre gli studenti ad andar fuori traccia.
Nell’aula del figlio dell’autore del quesito regnava sovrano il silenzio. Ogni tanto, qualche studente chiedeva al compagno di banco di prestargli il suo vocabolario verosimilmente per accertare ogni possibile accezione delle parole che componevano la traccia del tema.
Probabilmente, fu proprio quel ricorrente passaggio quasi aereo di vocabolari fra le mani degli studenti la causa di un inatteso intervento di verifica del professore vigilante. Costui, forse con la stessa intenzione che caratterizza l’addetto al controllo dei parcheggi urbani, quando punta gli occhi sul cruscotto dell’auto in sosta, per verificare se vi sia esposto il ticket del pagamento del parcheggio, si rivolse allo studente, che stava prendendo il vocabolario dalle mani del vicino compagno. Pregandolo di consegnargli cortesemente quel pesante dizionario della lingua italiana. Era un bel Devoro Oli, fra le cui bianche pagine il professore rinvenne una copia fotostatica d’un testo di letteratura italiana. L’ottimo dizionario era di proprietà del figlio dell’autore del quesito. Il testo della fotocopia era un componimento in rima di Cecco Angiolieri, con un adeguato supporto di note apposto in calce.
Acquisita la fotocopia della poesia di Cecco Angiolieri, il professore appose una nota sul registro di classe, in corrispondenza del nome dello studente possessore del Devoto Oli e disse al giovane che doveva considerar annullato il suo tema. Lo studente si era limitato a dire, secondo quanto ha riferito il genitore, “Ne parlerò alla mia famiglia”. Dal consulto avvenuto in famiglia è nato il quesito, con il quale, in sostanza, il genitore ha chiesto di sapere se il comportamento del figlio in classe presenti profili che possano giustificare il minacciato annullamento del tema e, ancor peggio, l’avvio di un procedimento disciplinare. Vige ancora il Regio Decreto 4 maggio 1925, n,. 653, il cui articolo 94, così recita: L’annullamento delle prove di un qualsiasi esame, per frode o per infrazione disciplinare, è pronunciato…(omissis) dal Preside.
Il testo normativo appena trascritto è stato ritenuto unanimemente norma non soltanto in materia di esami di promozione, idoneità, o di Stato, ma anche per quel che riguarda lo svolgimento degli elaborati redatti dagli alunni in classe.
Tanto è potuto accadere perché i diversi atteggiamenti ai quali possono ricorrere gli alunni per aiutarsi non molto lealmente, durante lo svolgimento dei compiti scritti in aula, sono stati considerati ipso facto come infrazioni disciplinari e, in quanto tali, hanno legittimato l’annullamento dei temi o dei problemi svolti in aula dagli studenti.
La prassi scolastica ha potuto operare in tal modo perché nelle scuole secondarie vigeva un codice disciplinare (articolo 19 e seguenti) che aveva delle maglie tanto larghe, da consentire al preside di definire infrazione disciplinare qualunque comportamento dell’alunno che potesse dirsi macchiato da sospetti di scorrettezza.
Non vigevano in quei decenni i due antichi broccardi, nullum crimen sine lege; nulla pena sine lege; i quali, in uno Stato di diritto, impediscono a qualsiasi giudice, anche all’organo scolastico chiamato ad instaurare ed a concludere un procedimento disciplinare nei confronti di un alunno, di irrogare una sanzione che non sia stata espressamente prevista dagli articoli di un codice, in corrispondenza di un fatto altrettanto espressamente previsto come illecito.
E’ utile il riferimento all’art. 20 del già citato Regio Decreto n. 653 del 1925 per dar maggior chiarezza al concetto appena espresso. Nel 1° comma di quest’ultimo articolo si legge: Per mancanza ai doveri scolastici, per negligenza abituale, e per assenze ingiustificate, si infliggono le sanzioni di cui alle lettere a) e b).
L’evidente genericità delle parole per mancanza ai doveri scolastici appare una previsione di fatti, di accadimenti, di comportamenti molto ampia, perché, in quei decenni del secolo scorso, i doveri scolastici richiesti all’alunno non erano stati compendiati in un sistema di norme articolato in precise fattispecie astratte.
Se oggi fosse stato in vigore un sistema normativo di quel genere, ben pochi mezzi di difesa avrebbe potuto invocare l’autore del quesito, a beneficio del figlio, dal momento che il passaggio del Devoto Oli al compagno vicino, con l’annessa fotocopia della poesia di Cecco Angiolieri, almeno qualche pur blando sospetto di scorrettezza scolastica potrà averlo generato nel docente vigilante.
La realtà odierna, per fortuna, è ben diversa da quella degli anni in cui ha operato il codice disciplinare contenuto nel Regio Decreto del 1925.
Oggi è in vigore lo Statuto delle studentesse e degli studenti. Lo si deve a Luigi Berlinguer, il Ministro della Pubblica Istruzione che il 24 giugno del 1998, nell’art. 4 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 249 ha fatto scrivere le seguenti proposizioni:
- I regolamenti delle singole istituzioni scolastiche individuano i comporta-menti che configurano mancanze disciplinari con riferimento ai doveri elencati nell’articolo 3, al corretto svolgimento dei rapporti all’interno della comunità scolastica e alle situazioni specifiche di ogni singola scuola, le relative sanzioni, gli organi competenti ad irrogarle e il relativo procedimento, secondo i criteri di seguito indicati.
Grazie a quell’innovativa disposizione regolamentare, ogni scuola statale, o paritaria, della Repubblica ha potuto – e dovuto – elaborare in piena autonomia un proprio codice disciplinare, elencandovi, con adeguata precisione espressiva, i comportamenti degli alunni che possono rappresentare violazioni di comportamento sanzionabili con specifiche misure disciplinari.
Recuperando il tema del quesito, si potrà dire che sarà interesse del genitore visitare il sito del Liceo scientifico frequentato dal figlio, alla ricerca del codice disciplinare che sarà stato approvato un po’ di anni or sono dal Consiglio di Istituto. Scorrendo attentamente le pagine di quel codice, il genitore potrà consultare l’elencazione delle singole fattispecie di comportamento che vi saranno state previste come sanzionabili; soltanto in questo modo il genitore potrà convenire con il figlio se l’aver passato al vicino compagno di banco il bel vocabolario Devoto Oli, con la annessa fotocopia di Cecco Angiolieri, il generoso studente avrà commesso un’azione punibile.
Non deve ammettersi, però, che un auspicabile profilo di sapienza professionale avrebbe potuto indurre il professore di letteratura italiana a valutare con un po’ di sapiente generosità l’elegante questione proposta dal quesito.
Basterà verificare se la poesia del buon Cecco Angiolieri fosse proprio attinente al tema. In questa sede non si può fare alcuna verifica, perché il genitore non ha menzionato il titolo della poesia del buon Cecco Angiolieri. Però non si può trascurare la ricchezza creativa della letteratura italiana della fine del duecento e del primo trecento, con il complesso quadro del movimento letterario del dolce stil novo, che non si esauriva nell’esortare il poeta a comporre versi eleganti per onorare la serena dolcezza dell’amore ideale, ma riversava anche i suoi interessi ad una sorta di parodia della poesia colta.
In definitiva, non si può escludere aprioristicamente che il passaggio al vicino compagno del Devoto OLI, irrobustito dal commento alla poesia di Cecco Angiolieri, non rappresentasse affatto violazione dei doveri di comportamento dello studente, dal momento che la conoscenza del commento alla poesia dell’Angiolieri, impresso nella fotocopia racchiusa nel vocabolario, fosse irrilevante ai fini dello svolgimento del tema.