Credo che il miglior omaggio a Tullio De Mauro stia in una riflessione su quella educazione linguistica democratica che ha caratterizzato il suo impegno di linguista e di uomo politico.
Propongo quindi brevi informazioni e pochi frammenti di pensiero di alcuni illustri nomi della linguistica italiana o della didattica della lingua, che di De Mauro e della sua concezione di educazione linguistica democratica sono stati interpreti.
Le dieci tesi per un’educazione linguistica democratica
Il 26 aprile del 1975 il GISCEL (Gruppo di Intervento e di Studio nel Campo dell’Educazione linguistica ) pubblicava il documento “Le Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica”, elaborato in collaborazione e con la supervisione del Prof. Tullio De Mauro.
Il testo definiva i presupposti teorici e politici di una educazione linguistica che superasse le angustie e la selettività della pedagogia linguistica tradizionale e interpretasse coerentemente sia i principi costituzionali (art. 3) sia i bisogni di una società sempre più larga e dinamica.
Proposte all’attenzione degli studiosi e degli insegnanti impegnati per la realizzazione di una scuola democratica, le dieci tesi ispirarono documenti normativi e pratiche didattiche, tracciando linee di forte innovazione nella didattica della lingua.
I principi delle dieci erano i seguenti:
- La centralità del linguaggio verbale
- Il suo radicamento nella vita biologica, emozionale, intellettuale, sociale
- Pluralità e complessità delle capacità linguistiche
- I diritti linguistici nella Costituzione
- Caratteri della pedagogia linguistica tradizionale
- Inefficacia della pedagogia linguistica tradizionale
- Limiti della pedagogia linguistica tradizionale
- Principi dell’educazione linguistica democratica
- Per un nuovo curriculum per gli insegnanti
- Conclusione (inadeguatezza della formazione degli insegnanti in merito alle Scienze del linguaggio – politicità della questione della lingua)
Adriano Colombo: “A trent’anni dalle 10 tesi”
Nel 2006, nel numero 1 di Cooperazione educativa, Adriano Colombo, esperto di educazione linguistica, segretario nazionale del Giscel ed autore di numerosi studi, riportava gli interventi della Giornata di studio promossa dal Giscel sul tema A trent’anni dalle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica, e segnalava un’indagine compiuta dallo stesso GISCEL, in occasione della giornata, tra quasi 700 insegnanti di Italiano: quella indagine mostrava che più della metà di loro non aveva mai sentito parlare delle Dieci tesi, il 18% le aveva lette, un altro 22% ne aveva una qualche idea. E rilevava comunque l’attualità delle tesi:
(…) Un ultimo aspetto decisivo per l’“attualità” delle Tesi riguarda i mutamenti che si sono verificati in questi trent’anni nella società e nell’educazione in Italia. Ne ha accennato da par suo De Mauro nella sua relazione al Convegno nazionale GISCEL di Lecce del 2004: «Ieri, nel 1975, il problema dominante poteva apparire combattere la tradizione scolastica di avversione per i dialetti e una pedagogia linguistica tradizionale cieca alle reali condizioni linguistiche di partenza delle bambine e dei bambini e insensibile alle varietà di uso della lingua. Oggi i problemi sono certamente assai più complicati e variegati. I punti di partenza degli alunni sono assai più diversificati, tanto più sia per il riconoscimento legislativo delle lingue meno diffuse esistenti nel paese da secoli sia per l’estesa presenza di lingue di nuovo insediamento portate dall’immigrazione.
La vita produttiva, sociale e culturale è assai più complessa. Assai più pericolosa è l’informazione parziale, distorta o grossolana, e invasivamente superficiale».
Riflettendo su questi problemi, De Mauro è andato proponendo ultimamente di aggiungere, forse in senso metaforico, una undicesima e una dodicesima tesi (si veda per esempio il suo articolo su “Insegnare” n. 4/2004). La “undicesima tesi” direbbe all’incirca che «una compiuta educazione linguistica è tale se si completa con la progressiva maturazione di un atteggiamento critico consapevole verso il sistema dell’informazione»; siamo qui nel cuore del tema della “educazione linguistica per la cittadinanza” (…)
Cristina Lavinio: “Per un rilancio dell’educazione linguistica democratica”
Nel 2015 Cristina Lavinio, ordinaria di Linguistica Educativa, membro del Giscel ed autrice di numerosi studi, in un intervento tenuto presso l’Istituto Gramsci di Trieste, dal titolo “Per un rilancio dell’educazione linguistica democratica”, tra le altre cose affermava:
(…) La facoltà di linguaggio (lo diceva già Ferdinand de Saussure) è insita nella nostra mente e, come sempre più numerosi studiosi sostengono, inscritta nel DNA della specie umana. (…) si potenzia enormemente se esercitata mediante l’esposizione/manipolazione e uso di lingue e linguaggi differenti, con ricadute positive sullo sviluppo cognitivo e sullo sviluppo dell’intelligenza, potenziata in chi si abitua a passare con flessibilità da un linguaggio e da una lingua all’altra (…).
(…) Sto ribadendo qualcosa che sappiamo da almeno trent’anni (basta rileggere le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica …) e che, per di più, ha finito per entrare anche in qualche legge dello Stato: mi riferisco ai programmi scolastici, a partire da quelli per la scuola media inferiore del 1979, caratterizzati in modo forte da questa attenzione a un’educazione linguistica trasversale e attenta a tutti i linguaggi.
Eppure tutto ciò non è diventato senso comune, neppure tra gli insegnanti, né si è tradotto in una prassi didattica che, in modo diffuso e generalizzato, abbia completamente allontanato dalla scuola, almeno nelle ore di lingua (e di italiano in particolare) quella «pedagogia linguistica tradizionale» criticata dalle Dieci tesi (…)
(…)Ripartiamo dunque dalle Dieci Tesi, affatto datate (…) vi si trova l’enunciazione di principi fondamentali ispirati da una parte a punti fermi della ricerca sul linguaggio e sul funzionamento delle lingue, dall’altra a un impegno e a una passione civile che abbiamo visto ribadita di recente nello splendido libro-intervista all’estensore primo di quelle Tesi, cioè a Tullio De Mauro (2004).(…)
Mario Ambel su “Dieci tesi per una educazione linguistica democratica”
Mario Ambel, per anni docente di italiano nella scuola media; esperto di educazione linguistica e progettazione curricolare, direttore di «Insegnare», rivista on line del CIDI, scrive nel maggio 2016:
È giusto ricordare il contesto in cui nacquero le Dieci tesi perché la loro forte caratterizzazione “democratica”, marcata da quell’attributo che si richiamava esplicitamente al mandato dell’art. 3 della Costituzione, testimonia come quell’auspicato rinnovamento educativo avesse solide ragioni sociali e politiche. Ma nello stesso tempo, oggi, a 40 anni di distanza, quella caratterizzazione impone di interrogarsi sull’effettivo impatto avuto da quel documento, e su quanto davvero sia cambiata e in che direzione la didattica dell’italiano, per garantire quei principi (…).
Sappiamo da riscontri diversi che lo stato di salute delle competenze linguistiche e culturali nel nostro Paese, a quasi tutte le età, fatta forse eccezione dei “lettori” più piccoli, è assai insoddisfacente. È lo stesso riconosciuto “padre” dell’educazione linguistica democratica, Tullio De Mauro, che ci ricorda sia i progressi compiuti, che i ritardi ancora da fronteggiare. (L’ultima occasione in ordine di tempo è stato per De Mauro l’intervento al Convegno nazionale del Cidi, Napoli, il 20 febbraio 2016, dove ha ricordato che «Ciò che è devastante (e che si ritorce contro la cultura dei giovanissimi) è l’incultura della popolazione: il 70% degli individui tra i 16 e i 65 anni ha difficoltà a capire un grafico, un articolo di giornale, e questi dati provengono dall’inchiesta “All”, un progetto di ricerca internazionale che tra il 2003 e il 2005 ha sondato in sette Paesi le competenze degli adulti»
(…).
L’insegnamento della lingua, in questi decenni, non solo non si è interrogato a sufficienza sulle trasformazioni in atto nella lingua italiana, inevitabilmente cambiata in seguito ai fenomeni sociali e culturali che hanno caratterizzato la fine del secolo scorso e l’inizio di questo, ma soprattutto ha finito col confermare modalità tradizionali e spesso perdenti di (non) “fare italiano”, per usare il bel titolo di un’antica proposta editoriale di Raffaele Simone.
In una recente indagine della rivista «insegnare», svolta per misurare l’incidenza avuta dalle Dieci tesi sull’insegnamento dell’italiano, una delle domande chiedeva di dichiarare quanto si ritenessero oggi diffuse alcune pratiche didattiche. La risposta è stata impressionante: tutte le prospettive e le pratiche didattiche che le Dieci tesi individuavano come auspicabili sono quelle a tutt’oggi (e forse più di ieri) meno frequentate dalla scuola (per esempio il coinvolgimento di tutte le discipline nell’insegnamento linguistico o l’attenzione didattica al parlato e all’ascolto), al contrario sono ancora e sempre più diffuse tutte le pratiche che le Dieci tesi consideravano deleterie (per esempio l’insegnamento normativo e trasmissivo della grammatica o la riduzione della scrittura alle sole pratiche del tema, riassunto e commento).
(…)
Si ha la sensazione, anzi, che a fronte delle nuove sfide determinate dall’incremento dell’eterogeneità delle classi conseguente ai flussi migratori, ai vecchi e nuovi disagi che disoccupazione e nuove povertà determinano, all’incremento caotico dei consumi tecnologici e a una trasformazione dei media di massa troppo spesso più subita che analizzata, la scuola reagisca con pericolosi ripiegamenti difensivi su territori tradizionali, consolatori e solo apparentemente adatti a fronteggiarle.
In campo linguistico, la nostalgia per la grammatica tradizionale e la sempiterna “analisi logica”, così come per dettati e riassunti acriticamente riproposti, il ritorno massiccio della storia della letteratura, i “classici” di nuovo branditi come campioni di identità spesso velleitarie, i libelli di addestramento alle prove Invalsi, sono segnali di un riposizionamento del tutto antitetico agli insegnamenti delle Dieci tesi.
(…)
La cultura e la scuola hanno il compito di osservare la realtà, studiarla, interpretarla, preparare a viverla, ma anche sottoporla a critica, immaginarne una diversa, contribuire a cambiarla, possibilmente in meglio. E la funzione del controllo personale dei linguaggi, come già sostenevano le Dieci tesi, in questo è determinante: di tutti i linguaggi, nessuno escluso, applicati a qualsiasi universo di sapere e di agire, con qualsiasi “medium” siano veicolati – purché sia affrontata seriamente la dialettica fra la capacità di usare i media per adattarli alle nostre esigenze e gli interessi di alcuni di forgiare i bisogni umani adattandoli ai media che noi stessi abbiamo prodotto. A scuola, per gli allievi, a partire dai più piccoli, questa esigenza di chiarezza e di coerenti scelte strategiche è ormai divenuta improcrastinabile.
L’insegnamento della lingua nella scuola italiana è una sfida ancora aperta: commemorare De Mauro non ha senso, né da parte di insegnanti né da parte di politici, né da parte di donne e uomini di cultura, se non si assume la consapevolezza che lo stato di salute dell’educazione linguistica nella scuola italiana è molto grave, e che dietro alle carenze linguistiche si nascondono altrettanto gravi carenze del pensiero, strumento imprescindibile di cittadinanza.