Il “quasi-mercato” dell’istruzione
di Mario Melino
Nostalgia critica
Per oltre 150 anni la scuola statale è stata di fatto l’unica risorsa per l’istruzione di tutti: unica ed esclusiva, capace di raggiungere ogni luogo della nazione. Dalla piccola isola alla discosta periferia metropolitana, alla comunità rurale della montagna più impervia, è stata capace di dare ad ognuno la stessa opportunità; certo, ove le differenze di partenza dei suoi studenti erano determinanti per il successo scolastico, ha compensato ben poco gli svantaggi e ne ha persi tanti lungo la strada, ma – non c’è dubbio – per molti, anzi moltissimi, è stata un motore di mobilità sociale. Ne ha respinti tanti, ma tanti ancora le devono tutto.
Questa scuola così imperfetta, incompiuta, difettosa, involontariamente discriminatoria, irrazionalmente selettiva, classista per retaggio storico, autoritaria per fondamento organizzativo, autoreferenziale per vocazione naturale, maltrattata dai critici e dagli utenti è stata per lunghi decenni una delle poche certezze sociali del popolo italiano, uno stemma della nazione di cui nessuno ha mostrato orgoglio, una distratta riconoscenza, una penombra di rimpianto. Questa scuola non esiste più. È morta il 15 marzo del 1997 e pochi se ne sono accorti. Appunto, il 15 marzo, per un gioco acre del caso, questa nobile e austera signora fuori tempo ha avuto le sue Idi di marzo([1]). È stata colpita al cuore del suo assolutismo, della sua unicità, del suo vituperato monopolio e si è dissolta nel mercato.
Al capezzale dell’eterna moribonda, per decenni, si sono alternati autorevoli dottori e luminari, tutti concordi sulla diagnosi, tutti discordi sulla terapia: scuole di pensiero contrapposte e attente più al dibattito che alla salute del paziente. Quella vecchia scuola statale, centralista e burocratica, è morta di inconcludenza innovativa, di riformismo senza visioni e senza modelli, di cambiamenti fatti sotto la spinta ora della necessità, ora dell’emergenza, ora della popolarità presso l’utenza, ora per meri calcoli elettorali e bilanciamenti indecorosi tra le forze politiche e sindacali nel loro eterno confronto. A questo malato terminale non rimaneva altro che estirpare il cancro statalista alla radice: le logiche di mercato sono diventate così il medicamento e il balsamo decisivo per rimediare all’arcaicità delle sue regole.