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Le ferie coatte del Dirigente scolastico

di Francesco G. Nuzzaci  

 

Casualmente ci siamo imbattuti nella  nota prot. n. 5571 del 7 aprile 2016, a firma del direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale della Lombardia. E la nostra attenzione è stata catturata da un singolare passaggio, che impone ai dirigenti scolastici – nelle giornate di chiusura della scuola, deliberate dagli organi collegiali – di  mettersi in ferie, salvo impegni istituzionali, o già programmati, svolti in tali date.

La nota, così è scritto, è stata diramata a seguito di alcuni quesiti di diretti interessati e segna la conferma di un’Amministrazione adusa a sprigionare, con inesorabile regolarità, la sua incomprimibile fantasia di creatrice del diritto, anche in ambiti di non particolare rilevanza, ogniqualvolta venga sollecitata da coloro che, pur nella chiarezza della fonte normativa – al cui accesso diretto sono, evidentemente, refrattari e/o della quale non si fidano –, reclamano l’intervento, presunto salvifico, del Superiore Ufficio. Presunto, perché – posto che non sia pleonastico – spesso sortisce l’effetto opposto: di complicare, in luogo di facilitare, l’azione di chi, per legge, deve quotidianamente assumersi la responsabilità di ragionare e decidere con sorvegliata discrezionalità, anche per quel che concerne la sua presenza fisica in ufficio.

Era successo riguardo ai vincoli della legge di stabilità 190/14 in materia di supplenze di docenti e personale ATA, con il risultato di aggiungersene ulteriori in via interpretativa! Ed era successo subito dopo l’emanazione della legge 107/15, con Viale Trastevere impegnato a modificare per FAQ le disposizioni primarie del  T.U. 297/94, inopinatamente statuendo che il Collegio dei docenti e il Consiglio d’istituto potevano scegliere liberamente di sottrarsi all’obbligo giuridico di individuare i componenti di rispettiva pertinenza nel novellato Comitato di valutazione, per la successiva delibera dei criteri propedeutici all’erogazione del bonus premiale.

Ora sappiamo che – sia pure per la sola Lombardia, è da supporsi – è in vigore un nuovo istituto giuridico, quello delle ferie coatte, al di fuori e al di là della disciplina contrattuale e succedanee norme imperative, di cui alla legge 135/12, che l’hanno integrata: l’una e le altre peraltro richiamate dalla stessa Amministrazione a fondamento della propria decisione, adottata a dispetto dell’elementare principio di non contraddizione.

Difatti, l’art. 16 CCNL dell’Area quinta della dirigenza scolastica stabilisce che la programmazione e l’organizzazione delle ferie rientra nell’esclusiva competenza e responsabilità di ogni dirigente: ciò che, prima facie, sembra un privilegio, nel mentre trattasi di subordinazione all’obbligo di garantire comunque, in tali periodi, la continuità e la regolarità del servizio scolastico.

Il che è la conseguenza di quanto previsto nel precedente art. 15, primo comma, dove si legge che In relazione alla complessiva responsabilità dei risultati, il dirigente organizza autonomamente i tempi e i modi della propria attività, correlandola in modo flessibile alle esigenze della Istituzione cui è preposto e all’espletamento dell’incarico affidatogli.

Com’è giusto che sia. Se si è dirigenti.

Né può dirsi che, a sostegno del solerte e tracimante Ufficio scolastico regionale della Lombardia, sovvengono le disposizioni pubblicistiche introdotte dall’art. 5, comma 8, della legge 135/12, perché – coerentemente con la loro natura di norme finanziarie – si limitano a prescrivere che in nessun caso possono aver luogo trattamenti economici sostitutivi delle ferie contrattualmente regolate; che pertanto il dirigente dovrà programmare anche in previsione di cessazione del rapporto di lavoro, di mobilità, dimissioni, pensionamento e raggiungimento di limiti di età. La ratio è chiara: neutralizzare ogni possibilità che l’interessato si crei, più o meno artatamente, le condizioni per monetizzare ferie non godute.

E’ di palmare evidenza che si è di fronte a un abuso – non importa se consumato con o senza consapevolezza –,  che imporrebbe l’annullamento in parte qua della nota di cui si discorre. Ma al di là di quel che a noi sembra un atto dovuto, l’USR Lombardia dimostra di considerare i dirigenti scolastici alla stregua del loro dipendente personale ATA, obbligato per contratto (art. 51, comma 1, CCNL Scuola) ad un ordinario orario di lavoro di 36 ore settimanali, suddivise in sei ore continuative: che pertanto – nelle giornate di chiusura degli uffici deliberate dalle singole istituzioni scolastiche – deve  pro parte restituire, chiedendo ferie o recuperando con rientri pomeridiani e/o prolungamento d’orario in ragione delle esigenze funzionali della scuola.

Per contro, nel rispetto della disciplina contrattuale, ogni dirigente scolastico – anche se operante in Lombardia – potrà, legittimamente e liberamente, stimare l’opportunità o la convenienza di collocarsi in ferie nelle giornate di chiusura degli uffici, dandone comunicazione all’Amministrazione esclusivamente attraverso la piattaforma  dalla stessa predisposta. Oppure, determinandosi altrettanto liberamente e senza l’obbligo di comunicare alcunché, potrà:

  1. provare a mettere ordine – nella quiete degli uffici deserti, con i telefoni che finalmente non squillano e le porte che non si aprono in continuazione – nella congerie di adempimenti che quotidianamente lo sommergono e che, inevitabilmente, si sono accumulati;
  2. in alternativa, decidere di tirare un po’ il fiato – ai sensi dell’art. 15, comma 2, del CCNL 2006 Area V della dirigenza scolastica, richiamato dalla benevolenza dell’USR – e concedersi un adeguato recupero del tempo di riposo sacrificato alle necessità del servizio.

 

 

2 Comments

  1. Gianfranco Porcelli
    29 Aprile 2016 at 14:12

    Chi ha scritto questa cosa non sa che “succedaneo” non significa “successivo”.
    La cicoria è un succedaneo del caffè, ad esempio.

  2. scuolaeamministrazione
    5 Maggio 2016 at 11:05

    Gentile Sign. Porcelli,
    in risposta al suo rilievo sull’uso del termine “succedanee”, Le alleghiamo la definizione del vocabolario Treccani:
    succedàneo agg. e s. m. [dal lat. tardo succedaneus «sostituto, rappresentante», der. di succedĕre: v. succedere]. –

    1. agg. e s. m. Che può sostituirsi a qualcos’altro, surrogandolo in determinate funzioni o utilizzazioni: sostanze s. dello zucchero; un prodotto s. del caffè, del cuoio; frequente come s. m.: i s. del caffè; la margarina è un s. del burro. In economia, bene s. (o surrogato), bene che può sostituirsi a un altro nel consumo o nella produzione dando un risultato più o meno vicino a quello del bene sostituito.

    2. agg. In botanica, riferito al legno, è sinon. di secondario.

    Il nostro autore ha utilizzato, quindi, il suddetto termine in tal senso.

    Cordiali saluti,
    Nikeditrice.

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