di Francesco G.NuzzaciDopo la direttiva n. 36 del 18 agosto 2016
, seguita dalla sua registrazione da parte della Corte dei conti, sono state emanate le Linee guida sulla valutazione dei dirigenti scolastici, in obbligata coerenza con i criteri generali della legge 107 e tenuto conto degli indicatori elaborati dall’INVALSI, che però non sono stati resi pubblici perché, presumibilmente, dovranno subire qualche potatura per creare un dispositivo snello e dunque agibile rispetto agli iperconcettuosi modelli sperimentali accavallatisi negli ultimi quindici anni e sistematicamente naufragati.
Al momento, è ancora un’intelaiatura a maglie larghe, che può essere così sintetizzata:
1. il processo di valutazione è finalizzato alla valorizzazione e al miglioramento professionale del dirigente nella prospettiva del progressivo incremento della qualità del servizio scolastico, accompagnato da iniziative di formazione continua;
2. la valutazione è effettuata ai sensi dell’art. 1, comma 93, della legge 107/15 e dell’art. 25 del D. Lgs. 165/01, al fine di contribuire alla trasparenza-efficienza-efficacia dell’azione dirigenziale, tenendosi conto della specificità degli autonomi poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane;
3. essa è formalizzata dal direttore dell’USR, che si avvale delle risultanze istruttorie del nucleo di valutazione, costituito da un dirigente tecnico o amministrativo o scolastico e da due esperti in possesso di specifiche e documentate esperienze in materia di organizzazione e di valutazione, con un ruolo preponderante del coordinatore. In ogni caso, un nucleo deve avere la presenza di almeno un dirigente scolastico, anche qualora dovesse articolarsi con una diversa composizione in relazione al procedimento e agli oggetti di valutazione, ex comma 94, legge 107.
4. Oggetto di valutazione sono, oltre – o soprattutto? – al comportamento organizzativo (deducibile dal rispetto delle declaratorie di profilo figuranti nelle diverse fonti normative e compendiate nell’art. 25 del D. Lgs. 165/01), gli obiettivi definiti nell’atto d’incarico o integranti quello in corso a decorrere dall’1° settembre 2016, configuranti una triplice tipologia di obiettivi di miglioramento: obiettivi generali individuati dal Ministero, obiettivi legati alla specificità del territorio individuati dall’USR (che possono essere rinegoziati per variabili sopravvenute), obiettivi specifici dell’istituzione scolastica derivanti dal RAV e preordinati all’attuazione del Piano di miglioramento.
Il nucleo compilerà la valutazione dei dirigenti, graduata su quattro livelli: pieno raggiungimento, avanzato raggiungimento, buon raggiungimento, mancato raggiungimento degli obiettivi.
Nei limiti delle risorse disponibili, la contrattazione integrativa regionale riserverà:
– al pieno raggiungimento, una maggiorazione del compenso compresa tra il 10% e il 30% rispetto al trattamento di risultato riconosciuto al livello avanzato raggiungimento;
– all’avanzato raggiungimento, un compenso maggiorato almeno del 5% rispetto al livello buon raggiungimento.
In caso di mancato raggiungimento, non è corrisposta nessuna retribuzione di risultato e trova applicazione l’art. 21 del D. Lgs. 165/01.
L’articolo in parola, fatta salva l’autonoma responsabilità disciplinare, sanziona sia il mancato raggiungimento degli obiettivi che l’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente, graduandone così le conseguenze: impossibilità di rinnovo dello stesso incarico, revoca dell’incarico e collocamento in disponibilità, recesso dal rapporto di lavoro.
Pur in presenza di una valutazione complessivamente non negativa, la retribuzione di risultato può essere ridotta sino all’80% per colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto del raggiungimento degli standard quali-quantitativi del servizio fissati dall’Amministrazione.
5. La valutazione è effettuata con cadenza annuale per essere correlata alla retribuzione di risultato.
Nel caso in cui in corso d’anno si evidenzino elementi di giudizio che possano sfociare in una valutazione negativa, il direttore dell’USR può convocare l’interessato in contraddittorio per un primo confronto.
Se l’esito finale non è positivo, entro i successivi trenta giorni può parimenti darsi luogo al contraddittorio su richiesta dell’interessato, da concludere entro ulteriori trenta giorni.
Il colloquio può altresì essere richiesto entro quindici giorni dal ricevimento della valutazione positiva.
Infine, vengono disposte le modalità applicative della valutazione per i dirigenti scolastici cui siano stati conferiti incarichi di natura e posizione giuridica diversi da quelli riferiti alla conduzione di un’istituzione scolastica; nel mentre il processo di valutazione non si estende agli incarichi di reggenza, che continuano ad essere remunerati secondo la previsione del CCNL.
Le Linee guida individuano gli strumenti con cui la valutazione avrà luogo, corrispondenti ai documenti di programmazione e pianificazione che le scuole già utilizzano (elencati nella tabella Documenti), integrati dai format nazionali omogenei predisposti dall’Amministrazione e disponibili su apposite piattaforme.
Dunque, un dispositivo dal volto umano. Essenzialmente, un’autovalutazione dai profili domestici: come quella che, con qualche variante (per esempio, attribuzione di punteggi anziché espressione di giudizi), da anni viene impiegata per i dirigenti amministrativi e tecnici del MIUR.
Eppure, al momento, non risultano attenuate le posizioni di critica radicale di diverse Associazioni sindacali pur a fronte della definitiva versione ministeriale ictu oculi meno cruenta rispetto a quanto deducibile dalla generale disciplina del D. Lgs. 165/01, come novellato dal D. Lgs. 150/09.
Si è in attesa di conoscere se continueranno a reclamare una profonda modifica di un testo che rende di fatto il dirigente scolastico funzionale e dipendente dal potere esecutivo, siccome inciso da una valutazione ingiusta e offensiva ad opera di una burocrazia esterna e in violazione della vigente normativa contrattuale.
Trattasi, evidentemente, di un approccio puramente ideologico, privo del minimo ancoraggio al diritto positivo; che sortirebbe l’effetto di rendere una dirigenza che si ritiene, e si vuole, specifica l’unica a non essere valutata.
Che ciò produca la naturale e pesante conseguenza – per una dirigenza dimidiata – di continuare a non percepire la remunerazione di risultato e così avere la possibilità di accorciare significativamente il differenziale retributivo con la dirigenza generica, non pare avere importanza per i sostenitori dell’ennesimo niet alla valutazione. Perché – è questo che sembra qui veramente contare – un dirigente scolastico non valutato non è legittimato a valutare il proprio dipendente personale e – a cascata – a individuare i docenti dagli ambiti territoriali, stipulare i relativi atti d’incarico, ovvero ad attribuire il bonus premiale.
Il che è a dire che, al di là del nudo nomen iuris, il dirigente scolastico non è – non dev’essere – un dirigente! E così tout se tient.
Per quanto riguarda le due principali associazioni professionali dei dirigenti scolastici, ci sembra di poter affermare che l’ANDiS è per una valutazione realmente dirigenziale, mentre la DiSAL si è espressa con una lettera aperta, riproponendo alcune riflessioni pur non prive di pregio, ma collocate in un complessivo disegno preordinato alla costruzione, per i presidi, di un modello di valutazione…che valorizzi la dimensione educativa…di una professione direttiva che, in luogo di fondarsi sulle caratteristiche di managerialità gestionale, si indirizzi ai bisogni formativi e culturali delle nostre scuole e del paese: laddove l’esito è, ancora, quello – e a dispetto della legge – di dismettere le prerogative, consustanziali e indefettibili, di ogni dirigente pubblico per rivestire i panni di un coordinatore della didattica, tipico della scuola pre-autonomistica dipendente dal Signor Provveditore agli Studi, ovvero odierna figura nelle scuole paritarie e/o libere – prevalentemente cattoliche – cui del resto si fa esplicito riferimento ideologico.
Attendiamo, per intanto, che siano (ri)definiti gli indicatori dell’INVALSI, che noi pensiamo debbano ancorarsi a pochi obiettivi prioritari e qualificanti; soprattutto operazionalizzati e assistiti dall’assegnazione di inerenti e specifiche risorse finanziarie, umane e strumentali per poter essere conseguiti.
Il modello è sempre quello della dirigenza del MIUR, peraltro richiamato nel parere che il Consiglio superiore della pubblica istruzione sulla direttiva; che si compone di due sole schede: una scheda degli obiettivi e dei risultati (articolata in Analisi e programmazione, Gestione e realizzazione, Relazioni e coordinamento) e una seconda scheda per evidenziare, e compensare, in una sorta di paracadute, le difficoltà dichiarate dal valutato.
Certamente, questo modello andrebbe adattato – ma non stravolto e/o inutilmente appesantito – alla peculiarità delle istituzioni scolastiche, non assimilabili ad un ufficio amministrativo siccome strutturalmente contrassegnato da procedure in larga prevalenza standardizzate per la produzione di atti giuridici esenti dai canonici vizi di legittimità (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge). Sono esse piuttosto, e propriamente, organi-enti dotati di autonomia funzionale alla produzione di un servizio tecnico, d’indole immateriale (istruire, educare, formare), mediato da organi collegiali con poteri deliberanti, idonei a esprimere determinazioni volitive finali, ed erogato da soggetti professionali la cui azione, connotata da ampi margini di discrezionalità, va parimenti coordinata e condotta a sistema dal dirigente preposto alla conduzione di queste, molto particolari, strutture organizzative, caratterizzate dai c.d. legami deboli, in cui l’interpretazione prevale sull’ordinata esecuzione, con la conseguenza della non prevedibilità-omogeneità degli esiti, secondo un rigido nesso di causalità meccanica.
Sicché le priorità del modello ministeriale poc’anzi sunteggiato andrebbero invertite, nel senso che il peso predominante non può essere quello dei risultati, misurabili con strumenti quantitativi (valutazione di prodotto), bensì dei comportamenti organizzativi, essenzialmente rilevabili con un sistema di indicatori e descrittori la cui frequenza e la cui intensità siano, convenzionalmente, ritenuti significativi, in termini di causalità adeguata, salvo verifica e loro consequenziale rimessa a punto (valutazione di processo).
Vogliamo concludere questo intervento accennando a quello che molti ritengono un punto critico della valutazione della dirigenza scolastica, contenuto nella lettera c) del comma 93, relativo all’apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale, i cui ruoli non sono stati affatto svuotati dalla legge sulla Buona scuola, in forza di espliciti e rimarcati richiami disseminati nel testo. Tra i tanti, e a scopo esemplificativo, oltre alla successiva lettera e), si vedano:
– comma 2, sulla garanzia della partecipazione alle decisioni degli organi collegiali;
– comma 3, sulla valorizzazione…della comunità professionale scolastica con lo sviluppo del metodo cooperativo, nel rispetto della libertà d’insegnamento, la collaborazione e…l’interazione con le famiglie e il territorio;
– comma 7, ancora sulla valorizzazione della scuola intesa come comunità attiva, aperta al territorio e in grado di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la comunità locale, comprese le organizzazioni del terzo settore e le imprese;
– comma 14, alla cui lettera la predisposizione del PTOF deve assicurare, in ogni istituzione scolastica, la partecipazione di tutte le sue componenti…e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione dell’offerta formativa. E in ragione di ciò, prima che sia elaborato dal collegio dei docenti e poi approvato dal consiglio d’istituto, il dirigente scolastico sarà stato obbligato a promuovere i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti sul territorio e avrà altresì tenuto conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo grado, degli studenti;
– comma 78, che impone, ancora una volta, al dirigente scolastico il rispetto delle competenze degli organi collegiali, ovviamente fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio;
– comma 127, che vincola il dirigente scolastico ad una motivata valutazione nell’assegnazione del bonus premiale, rispettosa dei criteri individuati dal comitato per la valutazione dei docenti.
Potrebbe allora ben affermarsi che l’apprezzamento dell’operato del dirigente scolastico da parte della comunità professionale e sociale è il contraltare dei suoi potenziati poteri e funge da bilanciamento del sistema. E’ dunque legittimo elemento della sua valutazione, beninteso avendosi cura di definirne il peso e di predisporre idonei accorgimenti allo scopo di tenere il più possibile sotto controllo effetti distorsivi. Ed in effetti il suo peso è stato circoscritto ad appena il 10%.