di Antonio Errico
A Renato Minore che in un’intervista per il “Messaggero” gli chiedeva che fine farà il sapere umanistico, che per secoli è stato considerato “il sapere”, se si modificherà, se dovrà essere archiviato, se si volatilizzerà nel flusso insondabile della rete, Michel Serres, filosofo, epistemologo, accademico di Francia, ha risposto così: “Il problema è che il sapere scientifico è separato dal sapere umanistico. La separazione va rifiutata. Altrimenti la scienza corre il rischio di barbarie. Che cosa è l’umanesimo se non il deposito di tutti i racconti sull’infelicità umana? Se uno scienziato dimentica quei racconti, non può che generare catastrofi”.
Potremmo forse aggiungere che l’umanesimo è il racconto di tutti i sogni e di tutta la bellezza del mondo, e che tra questi sogni e tra questa bellezza ci sono i progressi straordinari della scienza. Probabilmente ogni intuizione, ogni scoperta, ogni prospettiva della scienza proviene da un sogno e si proietta verso la bellezza. Non dovrebbe essere sbagliato e neppure anomalo pensare che il fisico che svela i misteri del cielo stia interpretando il linguaggio con cui il cielo esprime la sua bellezza. Gli sviluppi della medicina e della biologia provengono dal sogno di un benessere dell’umano e dal desiderio di perpetuare la sua bellezza.
Allora la distinzione tra sapere scientifico e sapere umanistico, oltre che innaturale, pretestuosa, artificiosa, irragionevole, anacronistica, è anche pericolosa semplicemente perché, negando la sostanza originaria del sapere, si possono provocare effetti di aridità delle conoscenze che identifichiamo come umanistiche e di degenerazione di quelle che identifichiamo come scientifiche.
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