• giovedì , 21 Novembre 2024

La lunga via dell’inclusione scolastica

Vivere come assolutamente “comune” ciò che è speciale

di Antonio Santoro

Il termine <inclusione> ci trova molto d’accordo. L’integrazione sta stretta, perché evoca quasi sempre l’idea che (per) il soggetto atipico che è destinato a non fare grandi passi avanti sia sufficiente mantenere un livello di apprendimento basso. […] l’inclusione prevede invece un ampio ecosistema in cui un soggetto si immette e da cui trae dei benefici anche non prossimali” (Andrea Canevaro).

Scrive Luigi D’Alonzo, presentando i risultati della ricerca FocuScuola 20.20 del CeDisMa (Centro Studi e Ricerche sulla Disabilità e Marginalità dell’Università Cattolica): <In questi anni (tutto è cominciato – per convincimento generale – con l’entrata in vigore della legge 118/1971, la quale consentiva finalmente ai disabili – solo però a quelli con minorazioni fisiche o intellettive non gravi – di adempiere l’obbligo scolastico nelle scuole di tutti, facilitando altresì agli stessi la frequenza della secondaria di secondo grado – ndr) la scuola italiana ha saputo incamminarsi su un terreno arduo, difficile, assai complesso, ha scommesso su di sé prendendosi carico di persone con bisogni educativi speciali seguendo un’idea: includere in contesti educativi “comuni” bambini e bambine, ragazzi e ragazze, adolescenti, giovani con problematiche fisiche, intellettive o sensoriali accertate.

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