• martedì , 16 Luglio 2024

Interpretando le Indicazioni per i licei

una matematica che serva nella realtà

di Giuseppe Rocco Semeraro

Il problema di realtà è quello che attrae di più

 

Chi ha un po’ di esperienza nell’insegnamento della matematica sa bene che la tipologia di studente che si incontra normalmente in un liceo va da chi, messo di fronte a situazioni problematiche, si esprime semplicemente con “…la matematica non è per me…” al tipo  “…non mi dica la soluzione che la devo trovare io!”. Sa pure interpretare lo sguardo smarrito, a volte di supplica, di alcuni studenti di fronte a una spiegazione o alla risoluzione di un problema che ha impegnato la classe per un’ ora (o più..) in barba a tutte le curve di attenzione, e che ha portato come inevitabile risultato una o più lavagne piene di calcoli, simboli, cancellature, grafici…  Ma sa anche interpretare lo sguardo luminoso, felice e soddisfatto di coloro che hanno contribuito a risolvere o hanno risolto autonomamente un problema, un quesito, mettendo  in moto tutte le  “abilità”, utilizzando tutte le strategie personali e di gruppo (risultati intermedi dei compagni, qualche suggerimento del docente…) per partorire la soluzione nella gioia di tutti (o quasi) e nella soddisfazione di chi ha maggiormente contribuito ad essa. Infine, sa che le situazioni maggiormente interessanti da un punto di vista motivazionale e didattico si verificano quando  il  docente è capace di presentare un problema (talvolta anche “camuffandolo”) non come un semplice esercizio preso dal testo, ma come un problema reale, una questione importante, per cui valga la pena (da parte degli studenti) impegnarsi per la soluzione, non per il voto.

Il discorso dell’insegnamento che diventa più coinvolgente se inserito in un contesto di realtà non è nuovo, ma sicuramente non è stato, almeno fino ad oggi, la prassi quotidiana. Quando però si leggono le Indicazioni nazionali per i licei, che chiedono lo sviluppo di  competenze utili alla lettura e alla comprensione della realtà, si capisce che le situazioni da moltiplicare nei contesti di apprendimento sono proprio quelle che legano la disciplina alla realtà: non situazioni e attività da svolgere sporadicamente ed estemporaneamente, ma modalità costanti di una didattica che attraversi l’intero percorso curricolare e coinvolga tutti gli studenti. Una vera sfida per tutti gli insegnanti e in particolare per quelli di matematica, per le questioni di loro “competenza”.

Nelle note introduttive alle Indicazioni nazionali, riguardanti il profilo educativo culturale e professionale dello studente liceale, leggiamo che a conclusione dei percorsi liceali gli studenti “dovranno comprendere il linguaggio formale specifico della matematica, saper utilizzare le procedure tipiche del pensiero matematico, conoscere i contenuti fondamentali delle teorie che sono alla base della descrizione matematica della realtà”.

Un bel colpo per quei docenti di matematica che credevano che l’obiettivo massimo del loro insegnamento fosse il “problema geometrico riga e compasso”, “la risoluzione di problemi di secondo grado…” “lo studio del grafico di una funzione”, ma anche ai fans delle teorie comportamentiste: si sa che la ripetizione e gli esercizi graduali portano ad un buon “addestramento” e che questo è essenziale per la comprensione dei modi di procedere caratteristici di certa matematica, ma il passaggio ad “un pensiero che usi il linguaggio matematico nei compiti di realtà”  è tutt’altra cosa, non scontata per tutti.

 

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