Il racconto di un’esperienza in una classe quinta
di Giovanni De Santis
(docente di sostegno nella scuola secondaria di secondo grado)
1 – Il modello inclusivo dell’Ipseo “A. Moro” di Santa Cesarea Terme tra teoria e realtà
L’Ipseo “A. Moro” di Santa Cesarea Terme (LE) è una vasta comunità in costante crescita composta da alunni, docenti e personale Ata provenienti da località non di rado distanti dalla cittadina termale. Microcosmo di saperi e competenze, questa importante realtà territoriale ha sempre cercato di affinare l’arte dell’ “educere”, nel significato proprio di “tirare fuori”,sposando l’idea della “speciale normalità” (tutti i ragazzi sono speciali), “vecchio” principio pedagogico che la normativa più recente sui “bisogni educativi speciali”, dopo anni di ambiguità e tentennamenti, ha accolto come nuovo paradigma dell’inclusione.La scelta di superare la dicotomia tra specialità e normalità moltiplica le opportunità (e gli sforzi per chi deve favorirle, anche solo con il nobile gesto dell’ascolto) di valorizzare potenzialità e talenti,stimolare la curiosità e il gusto dell’esplorazione, suscitare emozioni e allenare le menti alla metacognizione e alla riflessione. Ma la buona teoria e i precetti normativi non sono, nell’immediato, traducibili, tali e quali, in buone prassi. L’idea della “speciale normalità” passerebbe dal dominio delle cose possibili alla realtà della pratica didattica quotidiana, se si riuscisse a mettere in piedi un sistema integrato per l’inclusività, a cominciare dall’ introduzione graduale di elementi di flessibilità didattica e organizzativa (spazi e classi aperte, compresenze curricolari sistemiche, orari flessibili che superino le attuali “sequenze fisse di vari moduli disciplinari chiusi scanditi ogni sessanta minuti, a frequenza settimanale”) per finire con la costruzione di ponti capaci di traghettare i ragazzi oltre la tappa del mero titolo di studio consegnandoli alla vita che, come dice Gibran, “ha fame di se stessa”. Una collegialità responsabile e il contributo attivo delle famiglie,delle Asl, degli Enti locali, dei Piani di Zona, delle associazioni e degli Istituti scolastici di provenienza degli alunni sarebbero, poi, il secondo irrinunciabile pilastro del sistema. Per fortuna la scuola è sempre stata, nonostante le rigidità didattico-organizzative o forse a causa di queste, il luogo dell’invenzione, della sperimentazione e dei desideri inappagati che allontanano il taedium letale della ripetitività; il luogo dove la valutazione degli esiti quasi mai soddisfa intenti di ben altra portata. Viene allora spontaneo volgere lo sguardo al di là dei curricoli, delle routine e delle stesse misurazioni docimologiche, integrando sapere utile e pragmatico con sapere “inutile” sonnecchiante nell’ “albeggiare” delle giovani menti. Dando spazio “al fare”, alle competenze e alle “prove esperte”, ma senza restringere quello dell’“essere”, della creatività e della fantasia, quello per il“tempo perso”, la pausa, la dissonanza, la scissione tra identità e ruolo, tra realtà e finzione, tra contesto e sua rappresentazione. Spazio dunque a ciò che è possibile anticipare delle sbandierate “grandi trasformazioni” che puntualmente accompagnano le brevi stagioni ministeriali, ancor prima di riuscire a realizzare ciò che è auspicabile. Si può fare tanto, in classe soprattutto, nel contatto vivo con i ragazzi “supplici” di sapere, desiderosi di stupire ed essere stupiti. Anche senza i mega progetti europei o, perché no, proprio grazie ad essi,se e quando li si utilizza per quelli che sono:straordinari strumenti finanziari integrativi di un’autonoma e pregnante offerta formativa e non come imperativi categorici cui subordinare risorse ed energie. Il teatro, ad esempio. Il teatro come pratica speciale in soccorso di talenti speciali emersi da potenzialità latenti; qui da noi, esperienza gratificante per davvero,dai risultai tangibili, orgoglio di tutor, utenti-attori e loro famiglie: prima il Pinocchio ispirato alla memorabile interpretazione del conterraneo Carmelo Bene, poi “Dante in cucina”, mentore il Ciacco del canto VI dell’Inferno, semiseria rappresentazione a supporto delle prove di qualifica, infine il “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare reinventato in un resort. Ha funzionato. Così come hanno funzionato l’esperienza dei “Diritti a scuola” quale intervento di personalizzazione rivolto al piccolo gruppo, il progetto “Diversamente mani in pasta” per favorire l’autonomia degli alunni con bisogni educativi speciali in situazioni di gravità, l’alternanza scuola-lavoro anticamera del postdiploma, ecc.Perché non dovrebbe valere per il resto?