Saggezza e conoscenza
di Mario Melino
(già dirigente tecnico dell’USR per la Puglia)
Edgar Morin ha voluto presentare quest’ultimo contributo (1) del suo pensiero pedagogico come il “prolungamento” della trilogia (2) dedicata – nell’arco di un quindicennio di intensa ricerca scientifica e culturale – ai temi della formazione dei giovani nell’età planetaria. Una condizione umana che il filosofo francese considera del tutto inedita e non più affrontabile in termini di riforma dell’istruzione e dell’organizzazione scolastica: occorre invece una radicale riforma del pensiero e del metodo con cui si organizzano e si utilizzano i saperi disciplinari e le conoscenze; occorre tessere i fili che legano gli apprendimenti alla ricerca di una “propria” felicità, occorre insegnare a vivere, ovvero svolgere un compito che da sempre impegna la parte adulta dell’umanità verso i minori.
L’opera è densa di riflessioni, fa riemergere continuamente echi e suggestioni dei precedenti lavori dell’autore che, in poche pagine, compone un disegno ordinato e una proposta articolata, resa ancora più efficace da un linguaggio incisivo e senza retorica, a volte aforismatico e lapidario come solo un grande filosofo sa fare.
Così, senza alcuna pretesa di interpretarne il pensiero o mortificarne la ricchezza in una rapida recensione, mi permetto di offrirne alcuni tratti tematici ai lettori di Scuola e Amministrazione.
Vivere
«Insegnare a vivere» era lo scopo dell’educazione dell’Emilio di Rousseau, anzi, per il ginevrino, “vivere” era un “mestiere” che il suo piccolo allievo immaginario doveva apprendere con fatica.
Per Edgar Morin, si apprende a vivere attraverso un curricolo del tutto singolare e complesso: si passa attraverso le proprie esperienze con l’aiuto dapprima dei genitori, poi degli insegnanti, «ma anche attraverso i libri, la poesia, gli incontri» (3). Vivere è affrontare la propria vita personale, quella di cittadino di una nazione, quella dell’appartenenza all’umano. Lungo questo percorso è necessario sia leggere, scrivere e far di conto, sia la letteratura, la storia, la filosofia, le scienze, le matematiche, i saperi specialistici … perché vivere esige sensibilità, conoscenze, capacità riflessive e «la possibilità di affrontare i problemi fondamentali e globali dell’individuo, del cittadino, dell’essere umano». Vivere è un’avventura che a qualunque età alimenta aspirazioni e rivolte, richiede piccole e grandi scelte e fino all’ultimo giorno incontra il rischio dell’errore, dell’illusione e della conoscenza parziale.
L’errore e l’illusione non ci abbandonano mai. In questo le scuole e le università sono inutili perché possono insegnarci le conoscenze, non la natura della conoscenza. Le conoscenze che abbiamo appreso tramite le parole, le credenze, le idee, le teorie … sono nello stesso tempo una traduzione e una ricostruzione del reale e – per queste due necessitate ragioni – sono sempre a rischio di errore. Siamo continuamente minacciati dall’errore, senza saperlo; siamo condannati all’interpretazione.
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