Lasciare la propria terra per motivi di studio o lavoro può essere elettrizzante all’inizio. Ma dopo?
di Eleonora Grecuccio
Esiste un luogo dove la terra è generosa ed affascinante, abbracciata dalla freschezza di due mari, sempre illuminata dal sole che d’estate infuoca le pietre ma che anche d’inverno scalda il cuore della gente.
Un posto in cui la natura sembra dominare ogni cosa, in cui la gente è legata alle tradizioni, in cui il calore umano è palpabile e l’accoglienza è spontanea. Un posto in cui a correre sono i bambini, ma in strada dietro a un pallone, e non gli adulti dietro ad un autobus.
Un posto in cui capita spesso di non pagare il caffè al bar, perché viene offerto non solo da amici, ma anche anche da semplici conoscenti. Un posto in cui i giovani passano le loro serate a guardare le stelle e a cantare a squarciagola una canzone in riva al mare. Un posto in cui la musica la fa da padrone in quelle notti d’estate, mentre dappertutto si celebrano le rituali sagre, e non importa quanti anni tu abbia, la Pizzica la porti nel cuore e non puoi non ballarla.
Un posto di cui tanti si dimenticano, perché è un posto lontano, situato all’estremità del lungo stivale italiano, un tempo dimenticato da Dio e dagli uomini.
Il luogo di cui vi sto parlando è il Salento, e quanto ho affermato poc’anzi non è una favola o frutto di immaginazione, è pura realtà. Il Salento è la mia terra, che ho amato soltanto dopo essermene allontanata.
Ricordo la prima volta in cui sono salita su quel treno sapendo che sarebbe cambiato tutto nella mia vita. Quando l’unica cosa importante era partire, raggiungere la grande città e viverla, perché stanca del paesino in cui ero confinata.
Quando ho deciso con convinzione di lasciare la mia camera, la mia casa, la mia famiglia e i miei amici. Che, poi, sono un po’ una famiglia anche loro.
Quante volte ho detto a mia madre di non veder l’ora di andare via perché quello non era il posto giusto per me, perché lì non avrei mai realizzato i miei sogni, perché quel paese troppo piccolo mi opprimeva, mi tarpava le ali. Andare all’università, vivere in una città che non è la tua, più grande, più caotica, ma sicuramente più allettante, è la cosa più eccitante che possa capitare ad un diciottenne. Inizi ad immaginare la nuova casa, i nuovi amici, i nuovi posti, le nuove serate, le grandi aule, le persone che potrai conoscere.
Credi che non potrai mai rimpiangere nulla di quello che prima avevi sotto gli occhi. Perché al Nord è meglio. Perché è al Nord che ci sono le migliori opportunità.
Presi la mia valigia carica di sogni e di speranze e andai via senza voltarmi indietro. Dal finestrino del treno vedevo il mare allontanarsi, gli ulivi rimpicciolirsi, fino a sparire. Non ne avvertivo ancora la mancanza, non provavo ancora quella nostalgia che inevitabilmente attanaglia il cuore di chi si separa dalla propria terra.
Sapete quali sono state le prime domande che mi hanno rivolto quando hanno saputo da dove venivo? “Ma l’acquedotto arriva da voi?” “Le strade ci sono?” “E i servizi?”
È in quel momento che scatta l’orgoglio e avverti l’impellente bisogno di difendere con le unghie e con i denti il luogo dal quale provieni; così, con velata ironia e tanta pazienza, cerchi di spiegare che non arrivi dalla giungla, ma da un posto civilizzato, dove la gente non utilizza le liane come mezzo di trasporto. Inizi a sentire la mancanza della tua piccola realtà solo quando ti rendi conto che i grandi condomini nascondono la luce del sole, che la gente è sempre indaffarata, che nessuno si cura dell’altro, che le auto non si fermano neppure per un secondo. Quando vedi le persone correre affannosamente verso la fermata di un bus, quando non le vedi mai scambiarsi una parola con il vicino di casa.
Fino a pochi anni fa il Salento era un posto in cui il turismo non si era ancora sviluppato, tutti credevano che l’unica cosa per cui valeva la pena di andarci fosse un bagno al mare, e molti preferivano farlo alle Maldive anziché nelle calde spiagge delle sue piccole località marittime, di cui nessuno sospettava la straordinaria bellezza.
Quasi tutti credevano che il Salento fosse privo di testimonianze storiche, artistiche e monumentali di qualche rilievo, pochi conoscevano le sontuose chiese e gli arabescati palazzi di Lecce, che nel Seicento divenne uno dei centri più importanti del Barocco.
Ancora pochi conoscevano le bellissime leggende della nostra terra, ad esempio quella della sirena Leucasia, dalla quale trae il nome una marina del posto, nonché estrema punta del tacco d’Italia: Santa Maria di Leuca, Finisterrae, dove il blu intenso dell’Adriatico si stempera nell’azzurro cristallino dello Ionio.
Sta di fatto che il Salento è cresciuto molto in questi ultimi anni, fino a diventare una tra le più ambite e frequentate mete del turismo di massa, non solo italiano. Sono sorte numerose strutture ricettive, moderne e confortevoli, che permettono a chiunque di godere della pace, della bellezza e della serenità di questo territorio. Che oggi è popolato da giovani che si danno da fare per renderlo sempre migliore, senza rinnegare o tradire le loro radici, la loro identità.
Per ogni cervello in fuga, altri due cercano un modo per valorizzare la propria terra vivendoci e lavorando sodo.
Io sono uno di quei cervelli in fuga, ma solo temporaneamente. Non ho intenzione di abbandonare per sempre il mio Salento, perché mi sono resa conto di essere anch’io responsabile del suo destino, della sua crescita, perché voglio che i miei figli crescano là dove io sono cresciuta, voglio che loro non abbiano bisogno di vivere altrove.
Quando l’estate torno “giù” e la famiglia si ricompone, trovo tutti gli amici sempre al solito posto, sempre pronti ad accogliermi e a farmi festa; in estate tornano gran parte dei cervelli in fuga, e ci si ritrova tutti sempre nel solito luogo: il mare; ci si ritrova lì a prendere il sole e chiacchierare, si passano le serate sulla spiaggia a cantare e ballare i tradizionali brani musicali in dialetto intorno ad un falò, accompagnati da una chitarra e un tamburello.
Un gruppo di cantanti salentini è riuscito ad affermarsi e ad esportare la nostra cultura in tutto il mondo, trasmettendo il calore della nostra terra con le canzoni. Nel testo di una di queste si ricordano i numerosi popoli che son passati da qui, quando l’Italia ancora non c’era e il Nord non era considerato migliore del Sud, quando culture diverse si sono mescolate, formando una sola ed unica comunità: il popolo salentino; si ricorda che il valore che ci accomuna è il rispetto per la terra, per le persone, per la vita, affermando che solo se non ci si dimentica delle proprie radici e della propria appartenenza è possibile rispettare e accettare quelle altrui, anche quelle a noi estranee. Se si dimentica il posto in cui si è nati e da cui si proviene, non si potrà mai dare un vero valore alla propria cultura.
Esisitono eventi che si ripetono una volta all’anno e per i quali arriva gente da ogni parte d’Italia e del mondo, e che ogni salentino attende con ansia. Non importa se tu sia un anziano o un giovane, la Notte della Taranta va vissuta coralmente, anche attraverso uno schermo. Ognuno a modo suo è presente. Ognuno a modo suo balla. Una notte magica e meravigliosa, nella quale si vive la bellezza della nostra terra, giovani e meno giovani di ogni provenienza si ritrovano in una piazza, pronti ad improvvisare quel semplice, creativo e coinvolgente ballo che contraddistingue il Salento: la Pizzica.
È bellissimo vedere gente, che non parla neanche la nostra lingua, lasciarsi andare ballando sulle note della musica tradizionale: non importa se si è del posto o se si viene da molto lontano, non importa il colore della pelle, non importa che le lingue siano diverse, l’espressione di felicità e di spensieratezza la si legge negli occhi di ciascuno dei partecipanti all’evento, la Pizzica la si balla insieme; si crea un’unica famiglia quella notte, come se ci fosse una magia in grado di accomunare tutti, non esistono posizioni sociali, non esistono le differenze create dagli uomini, non esiste alcuna distinzione tra Nord e Sud.
In quella notte esistono solo la Pizzica e la Taranta.
Poi, ad un certo punto l’estate finisce, le spiagge si svuotano, i turisti lasciano i luoghi di villeggiatura con un pizzico di malinconia, contenti di aver scelto il posto giusto per le vacanze, sicuri di aver vissuto quei pochi giorni di stacco dal lavoro e dalle preoccupazioni in assoluta pace e serenità, e con la speranza nella mente e nel cuore di poterci tornare, perché non si può fare a meno di rimettere piede in questo piccolo angolo di Paradiso.
Il Salento si è ormai svuotato dei turisti che lo hanno “invaso” e alcuni cervelli in fuga possono rimanere ancora un po’ nella loro amata terra prima di ripartire verso le affollate città, dove la vita non sembra fermarsi un attimo, possono ancora godere di un po’ di tranquillità; allora si corre in spiaggia. E non c’è bisogno di andarci con un amico, ci puoi andare anche da solo perché, in qualunque spiaggia tu vada, troverai sempre qualcuno che conosci o che magari è disposto a conoscerti, potrai sempre trovare qualcuno con cui giocare una partita a beach-volley o parlare del più e del meno.
Poi puntualmente arriva un’altra volta il momento della partenza, rifai un’altra volta la valigia e prendi un’altra volta quel maledetto treno, guardi di nuovo gli ulivi rimpicciolirsi fino a sparire. Questa volta, però, non proverai l’eccitazione della prima volta: questa volta inizierai a contare i giorni sul calendario per dare inizio al count-down. Arriverai a destinazione e sentirai la pesantezza della nebbia, il venticello frizzantino, l’ odore inconfondibile dello smog e rimpiangerai il calore dei raggi del sole che il giorno prima accarezzava il tuo corpo abbronzato.
In qualunque parte del mondo si trovi, un salentino porterà sempre con sé, nel profondo del suo cuore, un pezzo della propria terra, della propria tradizione, della propria cultura.
Ma sicuramente, mentre tu sei in stazione ad aspettare il treno, mentre tu sei chiusa in una stanza a studiare, mentre tu sei in ansia per l’esame, giù nella tua terra ci sono tanti giovani che fanno squadra per cercare una soluzione ai loro problemi occupazionali, per cercare di ottimizzare e di valorizzare la propria terra, per non lasciare incolte le campagne, per non permettere che questo angolo di Paradiso diventi un deserto, per far conoscere ancora di più la bellezza della nostra cultura e e della nostra tradizione.
Il Salento è la mia terra, è quella che tanti giovani, come me, sono costretti ad abbandonare, ma della quale conservano uno struggente ricordo. Quello che conservo io, quello che mi accompagna e mi consola nelle interminabili giornate uggiose, è uno e uno soltanto: il mare d’inverno.