di Antonio Santoro
“La struttura centralistica – scriveva nel 2001 l’ex-Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer – ha oberato i dirigenti scolastici con compiti ed obblighi di natura burocratica, mentre la scuola autonoma ha bisogno di dirigenti scolastici che siano in grado di assumersi responsabilità, programmare ed implementare nuovi progetti ed attività, organizzare e stimolare il lavoro degli insegnanti, ascoltare gli studenti, coinvolgere le famiglie, gestire le risorse ed interagire con attori esterni” (1). Ha quindi bisogno, la scuola dell’autonomia, di una leadership democratica, consapevolmente e sistematicamente impegnata a sollecitare e a promuovere sentimenti di condivisione e di corresponsabilità sia all’interno della realtà organizzativa che nei rapporti con le diverse espressioni della comunità locale.
Si tratta di una necessità evidentemente non realizzata, almeno in termini significativi e diffusi, se è vero ciò che si continua a scrivere, e cioè “che il dirigente scolastico in Italia è tuttora un ibrido, sia nella disposizione istituzionale del suo profilo professionale, paradossalmente, ancora poco definita e dove l’aumento formale dei poteri e delle responsabilità, come spesso si lamenta da più fronti, non è stata accompagnata da una effettiva redistribuzione dei poteri dal centro per realizzare una sostanziale autonomia scolastica. Sia nella effettiva pratica della dirigenza del nostro Paese, come ricordato dalle ricerche che hanno accompagnato lo sviluppo della nuova dirigenza dall’autonomia di Fischer e colleghi […], che hanno mostrato una tipologia di comportamenti dirigenziali e stili di leadership molto diversificati, anche con riferimento al consistente ricambio generazionale e alla progressiva femminilizzazione della professione” (2). Comportamenti che, quando ispirati dalla scelta di condividere ed accogliere la prospettiva managerialista, tendono in prevalenza a caratterizzare di fatto “il dirigente come un dispositivo di direzione e controllo che (in particolare):
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