di Antonio Errico
Uno dei luoghi comuni più comuni, una delle fantasie più fantasiose è che i ragazzi, i giovani non studino. E’ un luogo comune, una fantasia, una fandonia. Innanzitutto studiano di più, anche solo semplicemente in termini di tempo, di quanto studiavano i giovani di trenta, quaranta anni fa, o generalmente i giovani di sempre, per un fatto di necessità. Perché, in altri tempi, con il diploma o al massimo la laurea si aveva la possibilità di entrare nei territori del lavoro e di attraversarli.
Invece, ormai da qualche decennio e negli ultimi tempi più che in ogni altro tempo, solo per tentare di entrare in quei territori servono le specializzazioni in ogni campo, servono i master, i titoli post laurea. Ecco il motivo per cui, volenti o nolenti, i giovani di adesso studiano di più.
Poi c’è una ragione generale di natura culturale che, indubbiamente, può in qualche modo fuorviare, generare equivoci, determinare apparenze che possono far confondere la sostanza. Si tratta di una ragione rappresentata dai metodi e dai mezzi che adottano per studiare, di cui gli adulti possono anche avere indiretta conoscenza, ma di cui non hanno mai avuto modo di fare esperienza.
Una volta un ragazzo si chiudeva in una stanza, sprofondava in una versione di latino, un capitolo di filosofia, un problema di matematica, ci restava anche per ore e poi ritornava in superficie con una traduzione, la comprensione di un concetto, una soluzione. Il rapporto con l’oggetto da conoscere era esclusivo: un faccia a faccia, una sfida. Alla matematica, al latino, alla filosofia si diceva: adesso a noi due. Qualche volta si vinceva la sfida, qualche altra volta la si perdeva. Quando si perdeva, la si riproponeva, si cercava la rivincita. Più ci si concentrava e prima si vinceva. Uno si chiudeva in una stanza e tutto il mondo era fuori, lontano.
Anche adesso un ragazzo si chiude in una stanza, ma il mondo è tutto lì, in quella stanza. La versione, il problema, la dialettica hegeliana sono parte di quel mondo, non cosa separata, altra. Non più un tu per tu, un faccia a faccia con quello che c’è da studiare, ma una rete di relazioni, anche complesse, una pluralità di prospettive, una moltiplicazione di richiami. Ora come allora, una sfida. Ora come allora si vince, si perde, si rinnova la sfida. Non una sfida a noi due: ma a noi. Molti. Tanti. Per una sfida così bisogna avere una più forte capacità di negoziare i significati.
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