L’energia di una terra probabilmente si misura dalla presenza attiva dei giovani e dal loro livello di formazione e di cultura. E’ questa condizione che più di ogni altra cambia il modo di pensare, che consente il progresso, lo sviluppo, la positiva trasformazione sociale, economica, culturale, che orienta le prospettive, che incide sui destini individuali e collettivi. Tutto il resto viene dopo semplicemente perché è dall’energia delle generazioni che vengono che risulta determinato. Allora si avverte un po’ di preoccupazione, qualche volta anche un po’ di spavento, si prova molta rabbia, quando le osservazioni dei fenomeni, la conoscenza dei fatti, i risultati delle indagini dicono che quell’energia non cresce o che addirittura diminuisce. Si prova preoccupazione, si prova spavento, rabbia per un presente che confina con il deserto del futuro.
Per esempio accade riflettendo sui dati dell’indagine Almalaurea. Certo, negli ultimi dieci anni le iscrizioni all’università sono diminuite in tutt’Italia, ma in modo differenziato. Il Sud ha pagato il prezzo più alto: non soltanto per la diminuzione delle immatricolazioni, ma anche per i costanti e crescenti flussi di mobilità dei giovani che dal Sud se ne vanno nelle altre regioni del Paese, o se ne vanno all’estero. Se ne vanno e spesso non ritornano. Non ritornano quasi mai.
Ragionare sui motivi per i quali sia sempre il Sud a pagare il prezzo più alto, indagare le cause storiche, analizzare le circostanze, sarebbe discorso lungo, complesso, che avrebbe bisogno di una pluralità di punti di vista e di contributi da parte di specialisti dei diversi settori. Poi è anche vero che da secoli i punti di vista si incrociano e gli specialisti dei diversi settori forniscono gli esiti delle loro ricerche, le loro approfondite considerazioni. La situazione rimane comunque immutata e continua a rimbombare l’eco di quel comando che Eduardo De Filippo diede una volta ai giovani del Sud: fuitevenne. Se avete qualcosa da fare, se avete qualcosa da dire, fuitevenne, andate via da qui.
Però noi, adesso, da qui, vorremmo permetterci di dire il contrario. Vorremmo dir loro, con sentimento e ragione, di studiare qui, di restate qui. Di far correre qui i loro pensieri. Di tenersi tutta la bellezza che c’è qui; di trasformare in bellezza la bruttezza che c’è qui, come c’è in tutto il mondo, di portare correnti impetuose negli stagni, di far funzionare tutto quello che non funziona, di piantare alberi, fare giardini, scrivere libri, servire la scienza. Smentite i vaticini. Ribaltate la storia. Da qui. Inventare il futuro: da qui.
Con la consapevolezza che ci saranno molti più sacrifici da fare, che questa terra pretende molto e dà molto poco, che scorciatoie non ce ne sono e che, se ci sono, non le devono prendere.
Secondo Almalaurea,dunque, l’andamento delle immatricolazioni
dimostra che dopo l ’aumento registrato dal 2000 al 2003, legato soprattutto al rientro nel sistema universitario di ampie fasce di popolazione di età adulta, e nonostante la leggera ripresa registrata nell’ultimo anno, dal 2003 al 2015 le università hanno perso nel complesso quasi 70 mila matricole, con una più forte contrazione al Sud.
Su tale risultato incidono vari fattori, non tutti connessi agli atenei. In primo luogo, il calo demografico: negli ultimi 30 anni in Italia la popolazione diciannovenne è diminuita di oltre il 40%. Sebbene non si siano registrate particolari differenze a livello territoriale, secondo le previsioni Istat, nei prossimi 15 anni questa contrazione interesserà soprattutto le aree del Mezzogiorno, inasprendo ancora di più le già evidenti differenze territoriali. Si stima che entro il 2030 la popolazione diciannovenne crescerà nelle regioni del Nord anche a causa dei flussi di immigrazione, e diminuirà al Sud. Un altro elemento che ha senz’altro influito sul calo delle immatricolazioni è la contrazione del tasso di passaggio dalla scuola secondaria di secondo grado all’università. I dati mostrano che, corresponsabile anche la crisi, tale quota è diminuita in tutte le aree del Paese, ma nel Mezzogiorno il tasso di passaggio è inferiore a quello del Centro e del Nord.
Gli studiosi sostengono e ribadiscono che un’economia positiva e solidale, la riduzione del debito pubblico, la stabilità e la produttività degli investimenti, l’incremento del reddito, l’evoluzione dei mercati, la ripresa dell’occupazione, la cura di quella ferita della civiltà che è la disoccupazione sono condizioni che devono necessariamente passare per la strada della formazione, della qualificazione o riqualificazione degli apprendimenti e delle professionalità, della partecipazione attiva e consapevole all’informazione e al sapere. Probabilmente è solo attraverso i processi di formazione e di cultura che questo può accadere e che si può ridurre il divario tra Nord e Sud. Se altre ragioni non ce ne fossero, basterebbe questa soltanto a motivare la scelta dei giovani di studiare, vivere, lavorare al Sud. Senza rinunciare a girare il mondo. Senza rinunciare a ritornare qui.
Perché sono essenziali, qui, a Sud.