Tra autobiografia e saggio, la storia d’Italia letta attraverso le pagine del primo quotidiano italiano. Con gli occhi di chi, da caporedattore, quelle pagine le ha “costruite”
A cura di Enrica Bienna
Consigliato a:
chiunque voglia confrontarsi con l’attualissimo tema del ruolo dell’informazione nella società italiana e del rapporto tra informazione scritta e media.
Il libro, tra autobiografia e saggio, dimostra quale influenza ha avuto il Corriere della Sera nella storia dell’Italia, in particolare dal dopoguerra in poi, e in che misura esso ha partecipato alla crescita della società.
Pensando all’oggi gli autori pongono dunque la questione della crisi in corso della stampa, della mancanza di un’opinione pubblica qualificata, delle responsabilità della crisi italiana.
Il ritratto fatto del “Corriere della Sera” coincide con il ritratto dell’Italia: due profili, identico destino. Gli occhi e la penna dei due giornalisti ci aiutano a comprendere la nostra realtà
Vincenzo Sardelli lo conosciamo dalle pagine di questa rivista: seguiamo le sue critiche teatrali e quelle cinematografiche, e abbiamo modo di apprezzarne il rigore critico, l’apertura al nuovo, la completezza e la chiarezza dello stile. Apprendiamo, dalle scarne note biografiche che lo riguardano, che è un “giovane” professore di lettere e giornalista e che il campo dei suoi interessi culturali è molto ampio.
Con Giuseppe Gallizzi condivide la passione per la carta stampata e direi l’amore per Milano, e da qui nasce la loro collaborazione per la stesura, a quattro mani, di questo “Eravamo in via Solferino. Quarant’anni al Corriere”. I quarant’anni sono quelli trascorsi da Giuseppe Gallizzi, in qualità di redattore ordinario di cronaca prima, e a lungo poi in quella di caporedattore, presso la sede del prestigioso quotidiano milanese. E’ di Gallizzi dunque la volontà di raccontare, in forma di autobiografia, la sua esperienza lunga una vita, riempiendo le pagine di memorie, aneddoti, riflessioni, qualche rimpianto. Di questa operazione Vittorio Feltri nella prefazione al volume scrive: “Le spigolature di Giuseppe, annotate giorno dopo giorno o recuperate nei meandri remoti della memoria, consentono al lettore di respirare il clima di una redazione che ha registrato i mutamenti avvenuti nel Paese. Il ritratto fatto del “Corriere della Sera” coincide con il ritratto dell’Italia: due profili, identico destino. Gli occhi e la penna dei due giornalisti ci aiutano a comprendere la nostra realtà“.
E questa può essere in fondo la chiave di lettura del libro: di fronte alle complesse vicende che hanno segnato la storia del paese, dal boom economico alla contestazione del ’68, dagli anni di piombo a Tangentopoli, fino al ventennio berlusconiano ed oltre,verificare in che misura e in che modo il Corriere abbia contribuito alla formazione e all’orientamento dell’opinione pubblica, o anche in che misura sia stato da quelle vicende condizionato.
Ma di chiavi possibili ce ne sono diverse, se si sa cercare nella grande ricchezza del materiale che compone il testo: il lettore ne può ricavare una storia del giornalismo e delle sue profonde trasformazioni, o ancora, a seconda del suo interesse, può trarre un sintetico manuale di scrittura dalle tantissime osservazioni e piccole lezioni disseminate tra le pagine.
In ogni caso, “Eravamo in via Solferino” è innanzitutto narrazione, narrazione di una storia affascinante che ha come contesto la mitica sede del Corriere, con i suoi marmi e scalinate, con i suoi riti e la sua complessa attività, e come sfondo una Milano dalla fisionomia mutevole.
I personaggi che la animano hanno i nomi delle più grandi figure del giornalismo italiano, a cominciare da quelle dei direttori che si sono avvicendati alla sua guida, con cui Gallizzi si è trovato a lavorare in quarant’ anni. I loro ritratti, da quello di Albertini fino a De Bortoli, che occupano gran parte del testo, sono di grande efficacia nel rivelare il peso che la personalità, lo stile, la cultura di ognuno ha avuto nell’orientare la conduzione del giornale e nell’incidere dunque sulle sue sorti.
Quale sia stato il ruolo, certamente di primo piano, di Giuseppe Gallizzi, il libro non lo fa trapelare. Dobbiamo ricorrere alla sua biografia, se vogliamo saperne di più della sua importante carriera.
Io narrante della storia, egli racconta poco di sé, quanto basta per descriversi come emigrante dal Sud trapiantato a Milano, giovane cronista talentuoso, appassionato del suo lavoro, teso verso il successo, e riconoscente verso la città che gli ha dato tanto.
Secondo Luigi Einaudi il buon giornalismo è proprio quello che fornisce ai lettori gli strumenti conoscitivi e interpretativi essenziali per svolgere al meglio il mestiere del cittadini
Osservatore attento e discreto, misurato nei giudizi, anima però le sue riflessioni di un forte rigore, in strenua difesa di un giornalismo libero e corretto, coerente alla propria funzione sociale.
“Secondo Luigi Einaudi il buon giornalismo è proprio quello che fornisce ai lettori gli strumenti conoscitivi e interpretativi essenziali per svolgere al meglio il mestiere del cittadini. (…). Conoscere permette di scegliere, e scegliere permette di decidere, diventando protagonisti. Ecco, in sintesi, il compito di un giornale. Compito, oggi ancora di più di primaria importanza, nella confusione multimediale assordante e nel coacervo di notizie, immagini, urla, dove è un’impresa per gli stessi addetti ai lavori orientarsi e distinguere il falso dal vero…” (pag. 61).