Intendimenti e proposte del Governo Renzi per una “buona scuola”
di Antonio Santoro
Forse non sarà una riforma vera e propria – le opinioni in proposito sono già diverse, e contrastanti –, ma il Rapporto del Governo Renzi per una “buona scuola” parla sicuramente di un progetto che pensa in grande: perché esplicita prospettive di azione radicate nel convincimento che l’istruzione e la formazione devono tornare ad essere “un investimento di tutto il Paese su se stesso”, e costituire quindi “un meccanismo permanente di innovazione, sviluppo, e qualità della democrazia. Un meccanismo che si alimenta con l’energia di nuove generazioni di cittadini, istruiti e pronti a rifare l’Italia, cambiare l’Europa, affrontare il mondo”.
Gli annunciati impegni del Governo riguardano, com’è noto, innanzitutto il superamento del precariato nella scuola: in particolare, l’assunzione a tempo indeterminato, nel settembre 2015, di “tutti i (docenti: quasi 150 mila) precari storici delle Graduatorie ad Esaurimento, così come (di) tutti i vincitori e gli idonei dell’ultimo concorso; e, inoltre, il bando di “un nuovo concorso per permettere ad altri 40 mila abilitati all’insegnamento di entrare in carriera, sostituendo via via – tra il 2016 e il 2019 – i colleghi che andranno in pensione e rinverdendo così la platea degli insegnanti”. Si tratta, evidentemente, della realizzazione di “un piano straordinario di assunzioni” che si propone non solo di “abolire le supplenze annuali”, ma anche di istituire finalmente, nelle diverse realtà istituzionali, l’organico dell’autonomia, cioè un team di docenti a cui affidare il compito specifico di gestire e qualificare “le molte attività complementari all’ordinaria attività didattica: dallo sviluppo delle eccellenze e dal recupero all’integrazione (e) al sostegno ai ragazzi diversamente abili; dalla programmazione del fabbisogno scolastico e della gestione delle supplenze all’aumento del tempo scuola, alla gestione di progetti e – più in generale – all’ampliamento dell’offerta formativa”.
La costruzione di una buona scuola non richiede, naturalmente, solo di andare oltre le condizioni di precariato; indispensabili, infatti, vengono pure ritenute la qualificazione e la valorizzazione delle strutture di professionalità che operano nel sistema educativo formale. Per questo il Rapporto del Governo affronta, dapprima, il tema della revisione dei curricoli di formazione iniziale dei docenti per soffermarsi poi sull’urgenza di cambiare verso alla “formazione in servizio, che non deve essere più vista come un obbligo burocratico nei confronti dell’Amministrazione ma come una reale occasione di crescita personale e professionale, grazie alla quale offrirsi una possibilità di mobilità professionale e di carriera e offrire una preparazione migliore ai ragazzi”. Si torna perciò a guardare ad una formazione in servizio obbligatoria, che costituisca dunque “per ogni docente, un diritto nei propri confronti e un dovere nei confronti degli studenti”; e si riprende, in termini ancor più diffusi e decisi, il discorso sul merito e sulla valutazione dei docenti, “per ridare dignità e fiducia alle decine di migliaia di insegnanti che ogni giorno si impegnano con competenza e passione a restare al passo coi tempi per assicurare che i ragazzi a cui insegnano crescano a loro volta sintonizzati col mondo di oggi”.
Le prospettive di cambiamento migliorativo impongono inoltre – questa la sottolineatura successiva – la realizzazione piena dell’autonomia scolastica, la quale presuppone e richiede, a sua volta, responsabilità e valutazione della scuola. “Dobbiamo quindi poter aiutare ogni scuola – e poi valutarla su questo – a costruire il suo progetto di miglioramento, partendo da un coinvolgimento sempre più significativo dei docenti e degli studenti, e offrire contestualmente alle famiglie uno strumento di informazione e trasparenza sulla qualità della scuola dove mandano i loro figli”. E dobbiamo inoltre considerare che autonomia significa anche “buona governance della scuola” (perciò: valorizzazione, valutazione e selezione adeguata dei dirigenti scolastici); e che “Servono poi organi collegiali rivisitati, aperti, agili ed efficaci”.
Le varie consapevolezze del Governo Renzi dicono che serve anche altro per meglio adeguare l’azione della scuola alle nuove esigenze individuali e sociali di formazione: dopo la <felice> stagione gelminiana, serve ad esempio “ripensare ciò che si impara a scuola”, cioè le nuove e tradizionali istanze di alfabetizzazione culturale; e serve pure un’offerta significativa ed efficace, agli studenti della scuola secondaria di secondo grado, di esperienze di alternanza scuola-lavoro.
Il dibattito pubblico che il Rapporto sollecita e le proposte che sicuramente giungeranno da più parti permetteranno di certo al Governo di meglio orientare e calibrare i suoi intendimenti e i percorsi attuativi della sua proposta di cambiamento. Intanto, sembra già ora quanto meno opportuno:
– Evidenziare la necessità di una maggiore considerazione del ruolo formativo della scuola dell’infanzia e in ispecie della ripresa dell’istanza, non nuova, della generalizzazione di questo segmento scolastico. Massima considerazione del ruolo e delle funzioni delle istituzioni educative paritarie o private, ma a nessun bambino dovrebbe essere più negata, per indisponibilità di posti, la possibilità di frequenza della scuola statale. Quanti sono oggi, soprattutto nelle città medio-grandi e in tempo di crisi, i bambini che non fruiscono di questo fondamentale servizio formativo perché i loro genitori non sono nelle condizioni di sostenere economicamente la scelta alternativa della scuola non statale?
– Sottolineare ancora una volta che il potenziamento qualitativo dei nuovi impegni di alfabetizzazione (apprendimento delle lingue straniere “fin dalla scuola dell’infanzia”, promozione di competenze digitali, insegnamento dell’economia) presuppone la disponibilità di specifiche e solide competenze professionali. Poiché non siamo, per fortuna, dentro la logica o la presunzione di una “riforma scolastica epocale”, l’augurio da esprimere è che si abbia in primo luogo l’accortezza di evitare qualche grossolana <imprudenza> del passato: quella, per citarne solo una, di affidare l’insegnamento dell’inglese nella scuola dell’infanzia e nelle prime classi della scuola primaria a docenti che hanno appena concluso, in percorsi di formazione in servizio, la fase iniziale di studio di questa lingua, e che proprio per questa loro condizione non sono, di norma, ancora in grado di garantire, sul piano didattico, un’efficace e corretta attività promozionale nemmeno nel periodo d’avvio di apprendimento della lingua straniera.
– Valutare positivamente la prospettiva di dare sollecita attuazione al previsto sistema nazionale di valutazione delle scuole e delle loro professionalità: naturalmente, con le gradualità possibili e senza coltivare soverchie illusioni, come quella – per fare un esempio – di poter subito contare sull’apporto fondamentale di un corpo ispettivo da anni ormai ridotto – inspiegabilmente? – al lumicino.
Comunque, la realizzazione dei vari propositi governativi richiederà l’utilizzo di risorse adeguate, consapevolezze diffuse e tempi distesi, affinché pure a buona parte di essi non tocchi la sorte di restare in vita solo entro il noto recinto delle buone intenzioni.