Basta un poco di zucchero e la pillola va giù
di Agata Scarafilo
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Fra poco più di un mese ci lasceremo alle spalle il 2015, un anno segnato da cambiamenti rilevanti per il mondo della scuola e che cederà il passo, neanche a farla apposta, al 2016, un anno che sarà speciale per noi italiani già solo per il fatto che ricorrerà il settantesimo anniversario della nostra storia repubblicana.
Una conquista per il popolo italiano, che segnò il punto d’arrivo di percorsi dolorosi, ma contraddistinti dalla passione per i valori civili, a partire da quello più importante, qual è, a mio avviso, la libertà.
Chiarisco subito che è lungi da me mettere sullo stesso piano la svolta epocale avvenuta nel nostro Paese con il referendum del 2 giugno 1946 e un semplice cambiamento di settore, quello della scuola appunto, determinato in questi mesi dall’applicazione della Legge 107 del 2015. Mio unico interesse, invece, è quello di svilupppare una riflessione su un cambiamento in atto che non può non tenere conto, però, del contesto repubblicano in cui vive e si alimenta la scuola italiana e di cui ci occuperemo nei prossimi mesi.
Contesto, d’altronde, messo in rilievo dallo stesso MIUR nel Rapporto “La Buona Scuola – Facciamo crescere il Paese” del 3 settembre 2014 nel quale, insieme a tanti buoni propositi, si annunciava un progetto di cambiamento della scuola definendolo “un’operazione mai vista prima nella storia della Repubblica” e che sarebbe servito a dare forza propulsiva al tentativo di rinnovamento del nostro sistema scolastico.
Sempre nello stesso documento si leggeva, poi, che “dare al Paese una Buona Scuola significa dotarlo di un meccanismo permanente di innovazione, sviluppo e qualità della democrazia”. Un meccanismo che si sarebbe alimentato con “l’energia di nuove generazioni di cittadini, istruiti e pronti a rifare l’Italia, cambiare l’Europa, affrontare il mondo”.
Personalmente ritengo che, in funzione di questa prospettiva, si possa ben comprendere come i due temi “Scuola” e “Repubblica” abbiano un legame molto stretto, se è vero come è vero che, da una parte, ”La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” (art. 9 della Cost.) e, dall’altra, “la scuola è aperta a tutti” (art. 34 della Cost.). Aperta, dunque, agli studenti, ma anche alla cittadinanza, intesa come centro di coesione territoriale e di interessi condivisi.
Per comprendere il senso di un anniversario, come quello che andremo a celebrare nel 2016, occorre conoscere le condizioni di vita del nostro Paese, ma soprattutto ritengo che occorra conoscere i meccanismi che determinano tali condizioni, affinché ogni cittadino possa, anche nel suo piccolo (microcontesto), dare senso e continuità al lavoro e ai tanti sacrifici di tutti coloro che, attraverso il loro impegno, 70 anni fa hanno contribuito a costruire un Paese nuovo e a scrivere quella meravigliosa Carta fondamentale della Repubblica italiana che è la Costituzione.
La società si costruisce e si struttura intorno a valori e istituzioni e per fortuna ancora oggi ci sono tanti uomini e donne che cercano di difendere i valori in cui credono attraverso la manifestazione delle loro idee, il loro lavoro, il loro impegno nella società o più semplicemente attraverso il loro modo di vivere. Tuttavia, sia i valori che le istituzioni non si affermano e si sviluppano in maniera spontanea, ma trovano la loro genesi in quelle che vengono tecnicamente definite relazioni di potere e che si traducono nella capacità relazionale che permette, se le circostanze sono favorevoli, ad un attore sociale o a più attori sociali di influenzare asimmetricamente le decisioni di altri attori sociali, in modo tale da influenzare le scelte di chi, in un determinato contesto storico, esercita il potere.
Così viene da chiedersi: cosa ha determinato questo processo di cambiamento della scuola italiana?
Proviamo a ragionare, cominciando con l’analizzare l’aggettivo “Buona”, che è stato lo slogan che ha preceduto ed accompagnato il processo di cambiamento della scuola italiana e che già la dice lunga sull’idea che l’attuale Governo ha di quella che stiamo per lasciarci alle spalle.
Se l’obiettivo è quello di raggiungere il “buono” di qualcosa, allora vuol dire che oggi quel qualcosa non lo è. Forse, con riferimento alla scuola, vuol dire anche che tutto ciò che da essa deriva non è buono e paradossalmente potrebbe anche darsi che tutti noi che abbiamo studiato in quelle scuole o che abbiamo lavorato in quelle scuole non rappresentiamo cosa buona.
La mia è una provocazione, è chiaro! Perchè, a voler andare avanti con il ragionamento, neanche chi ci governa, considerato che in passato è stato necessariamente studente, è cosa buona proprio perchè è il prodotto di quella “Scuola non Buona” che si deve cambiare.
Ed una cosa non buona, verrebbe da chiedersi, come fa a generare una cosa buona?
Ma smetto di filosofare per passare ai fatti, perché sappiamo bene che le cose non stanno così e l’aggettivo “Buona” sottende altri scopi, tra cui quello di anticipare la conclusione del giudizio, prima ancora che il progetto di riforma si realizzi.
Insomma, proprio come diceva il ritornello di una nota canzone: “Basta un poco di zucchero e la pillola va giù e tutto brillerà di più!”
Questa è forse la strategia adottata per addolcire una pillola che proprio non è piaciuta e non si riesce a mandare giù. Infatti, dal 3 settembre 2014, quando la riforma è stata presentata, al 9 luglio 2015, quando la Legge 107 è stata approvata, la contestazione degli insegnanti, del personale ATA ed in parte dei genitori, per una riforma che introduce una serie di cambiamenti che nessuno aveva mai “osato” neppure proporre, è stata fortissima. Ancora oggi le manifestazioni di protesta, a mio avviso tardive, sono all’ordine del giorno, anche con il sostegno delle maggiori sigle sindacali.
Una protesta, secondo me, che non porterà da nessuna parte. La “legge è legge” e produrrà i suoi effetti, malgrado i malumori e i tentativi di boicottaggio.
Con questo non voglio dire assolutamente che la protesta non serva, tuttaltro; voglio dire che essa deve essere proporzionale alla possibilità di produrre un cambiamento, altrimenti diventa uno slogan, un rito sterile, che serve solo a lasciare immutato (se non addirittura a peggiorare) lo stato delle cose.
Chi dissente, dunque, che strumento ha per cambiare le cose?
La risposta ce la dà ancora una volta la nostra “Bella Repubblica”, che è, non lo si dimentichi, una repubblica parlamentare.
Questo significa che il nucleo del potere è il Parlamento, ma anche che “la sovranità appartiene al popolo”, che la esercita attraverso i suoi rappresentanti eletti secondo la legge.
Questo, a mio avviso, è lo strumento e questa è anche la risposta.
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Giovanni Reho – IV B
IISS “Pietro Colonna” – Galatina (LE)
Liceo Artistico – Indirizzo Design