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Editoriale maggio 2016

Soltanto il lavoro dei giovani può dare benessere al Paese

di Antonio Errico

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Una generazione forse perduta.
Quando si dice generazione perduta, spesso, quasi sempre, si fa riferimento a quella colpita e falcidiata da una guerra. Mario Draghi, però, con questa definizione identifica quella generazione umiliata e stravolta dalla disoccupazione. In Italia il tasso di disoccupazione giovanile è al 39,1%, rispetto a un tasso medio del 21,6% nell’eurozona. Dunque è come l’esito prodotto da una guerra.
Dice Draghi: nonostante sia la generazione meglio istruita di sempre, quella dei giovani di oggi sta pagando un prezzo molto alto per la crisi. Per evitare di creare una generazione perduta, dobbiamo agire in fretta.
Una generazione che rischia di perdersi. Eppure si tratta della meglio gioventù. Di quella che conosce bene le lingue o che comunque le conosce meglio delle generazioni precedenti. Di quella che con la tecnologia riesce a fare sortilegi. Di quella che ha titoli di studio universitari, post universitari, master, specializzazioni, stage, abilitazioni. Di quella che ha cittadinanza nel mondo. Di quella che ha la capacità di integrare tradizione e innovazione, che potrebbe garantire all’Italia, all’Europa e al mondo un nuovo sviluppo, un nuovo progresso, un nuovo pensiero. Di quella che ha conoscenze e competenze sia specialistiche che trasversali, che sa interpretare i cambiamenti perché è la protagonista dei cambiamenti. Di questa generazione si tratta. Di energie straordinarie. Una miniera. Un granaio. Ma rischiamo di soffocare la miniera, di dare fuoco al granaio.
Può essere che la situazione sia stata provocata anche dalla crisi. Ma viene naturale chiedersi in che modo si intenda affrontare e risolvere la crisi, se non mettendo a frutto quello che si chiama capitale umano, che è l’unico capitale che conta, l’unico che può garantire qualità in ogni situazione, in ogni settore. Se abbiamo dato loro la possibilità di formarsi, di studiare, per quale motivo non dobbiamo pretendere che mettano a disposizione quello che hanno imparato e che noi non conosciamo? Cioè, non dovrebbero essere loro a chiedere: dovremmo essere noi a pretendere un risultato dalla loro formazione. Ma noi li confiniamo nella disoccupazione, nella sottoccupazione, nel precariato, nell’incertezza, nella instabilità. Non diamo valore all’unico capitale che abbiamo.
La disoccupazione, dice Draghi, impedisce ai giovani di svolgere un ruolo attivo e significativo nella società. Infatti, una società che non confida nel pensiero e che non si affida ad esso, al lavoro dei giovani, verso quale destino si sta orientando, se non quello dello sprofondamento nella palude, della riproposta di vecchi e spesso fallimentari modelli e processi? Eppure sono i migliori. Sono quelli che intercettano o che determinano i mutamenti, che conoscono la geografia perché attraversano i territori, che hanno con la storia un rapporto senza condizionamenti e senza schermature. Sono quelli che sanno combinare il pragmatismo e il sogno. Che studiano anche se si chiedono, ti chiedono, per quale motivo devono studiare, che comunque guardano lontano anche se vedono orizzonti scuri, che hanno sopportato di essere chiamati bamboccioni.
Bisogna agire in fretta, dice Draghi. E’ vero. Bisogna agire molto in fretta. Pensando e realizzando un progetto di civiltà in modo sistematico, costante, incisivo. Senza attardarsi a ragionare sulle cause o sulle colpe. Non serve a niente. Ma nessun progetto si può realizzare senza il coinvolgimento concreto di coloro ai quali il progetto è destinato. Accade spesso che si parli dei giovani senza chiedergli nulla:in assenza. Non saprei dire se da qualche parte qualcuno ha chiesto loro di partecipare al progetto che serve e alla definizione dei modi e delle risorse per realizzarlo. Certo, sarebbe un progetto con un costo indubbiamente alto. Allora si potrebbe anche mettere al secondo posto, a condizione, però, che qualcuno dica qual è quello che dovrebbe stare al primo. Ogni Paese deve necessariamente mettere al primo posto il benessere di chi lo abita, di chi consente ad esso di svilupparsi. Ma senza un benessere dei giovani, non ci può essere benessere di un Paese, e un benessere dei giovani non ci può essere senza il lavoro.
Nel suo discorso di fine anno il Presidente della Repubblica ha detto che il lavoro manca ancora a troppi dei nostri giovani. Sono giovani che si sono preparati, ha detto Mattarella, hanno studiato, posseggono talenti e capacità e vorrebbero contribuire alla crescita del nostro Paese, ma che non possono programmare il proprio futuro con la necessaria serenità.
Qualche giorno prima Papa Francesco aveva detto che il lavoro significa dignità, che non si può perdere di vista l’urgenza di riaffermare questa dignità, che ogni lavoratore ha diritto di vederla tutelata e che i giovani, in particolare, devono poter coltivare la fiducia che i loro sforzi, il loro entusiasmo, l’investimento delle loro energie e delle loro risorse non saranno inutili.
Ecco, possiamo, dobbiamo ricominciare da qui: dall’urgenza di riaffermare una dignità, dalla fiducia, dall’entusiasmo, dalla speranza, dalle energie.
Tutto quello che verrà dopo sarà certamente migliore di tutto quello che adesso è.

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In copertina immagine di:
Martino Marangi 2C
Scuola Secondaria 1 grado “G.Pascoli”
del 1° Istituto Comprensivo di Ceglie Messapica (BR)
Dirigente scolastico Dott. Giulio Simoni

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