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Editoriale luglio – agosto 2014

Qualità e merito

 di Antonio Errico

Da tempo, da oltre un decennio ormai,  in ogni contesto in cui si parla di scuola circolano due parole che sembrano costituire la soluzione di tutti quei problemi che attraversano il sistema formativo italiano , dalla scuola dell’infanzia all’università. Qualità e merito: queste sono le parole. Con le loro stratificazioni semantiche e tutte le sfumature teoriche, filosofiche, pragmatiche, ideologiche, politiche, sindacali.

Con tutti i dubbi o le perplessità, i distinguo, le differenze sostanziali e formali, i pregiudizi, gli alibi, i pretesti, le accuse, le difese, le fughe in avanti, i passi indietro.

Talvolta i discorsi sono astratti, tal’altra riduttivi. Raramente concreti: un po’ per quella nostra antica propensione allo svolazzo, un po’ per l’oggettiva difficoltà della materia. Perché diventa inevitabile confrontarsi con alcuni interrogativi da cui non si può prescindere. Qualità di cosa, qualità per chi? Merito rispetto a cosa,  nei confronti di chi? Con quali criteri, metodi e strumenti si possono riconoscere la qualità e il merito?

Questo tipo di domande rende ogni discorso inevitabilmente complicato ed evidenzia come esso non possa rimanere all’interno  della scuola perché la condizione di complessità in cui essa vive proviene dalla complessità del contesto sociale più ampio e a quel contesto ritorna. Per tutti gli aspetti e sempre.

Come in un’azienda che produce automobili, qualità e merito sono riferiti a quel tipo di produzione, in una scuola che produce sapere devono essere riferiti  a quel tessuto intricato di conoscenze e di esperienze, cui viene attribuita la definizione di sapere, che fanno il tempo di un uomo e di una civiltà.

Quando l’età che si vive si presenta con una fisionomia mutevole e proteiforme, a volte anche ambigua, a volte anche enigmatica, allora più che in qualsiasi altro tempo c’è bisogno di un sapere capace di dare un senso al presente: a quel tempo che seppure appare come mutazione costante, continua scadenza, come incombenza o sfuggenza, chiude dentro di sé la memoria e l’attesa, la storia di quel che siamo stati e che ci ha fatto così come ora siamo, la speranza per quello che saremo, per il senso e il valore che riusciremo a consegnare a colui che verrà dopo di noi e che deciderà se consentirci una qualche sopravvivenza  culturale.

Quando il sapere di un determinato tempo storico è caratterizzato dalla quantità, dalla molteplicità, dalla diversità di forme e di elementi, da un sistema dinamico articolato in dimensioni plurime, mosaicate, interconnesse e interdipendenti, da una crescita costante di teorie, metodi, linguaggi, tecniche, strumenti, allora c’è bisogno di percorsi di conoscenza che insegnino a muoversi, ad orientarsi nella rete dei segni, delle lingue, dei codici, delle storie, degli alfabeti.

Ora i tempi sono questi: con questi tempi la scuola deve inevitabilmente fare i conti. Deve delineare percorsi di costruzione delle conoscenze, di acquisizione di abilità e competenze per la formazione di una persona e di una personalità capace di pensare e di agire, di essere con gli altri, per gli altri, di comprendere e di governare le trasformazioni personali e sociali, politiche, economiche, culturali. Se fino a qualche tempo fa le differenze erano determinate dall’avere o non avere, già ora – e sempre di più d’ora in avanti – saranno determinate dal sapere o non sapere. È per questo, allora, che una scuola che è e deve restare scuola di tutti e per tutti deve cercare e trovare forme e contenuti che siano in grado di assicurare a ciascuno la qualità di una formazione. E la qualità è quella condizione di equilibrio , una sintesi efficace – vorrei dire anche sapiente – di essere e saper essere, che consente un’esistenza di appartenenza consapevole al proprio tempo, di coerenza con l’esigenza del mercato e del lavoro, di comprensione dei bisogni e anche dei sogni , delle storie che attraversiamo e che attraversano i nostri giorni.

Allora, criteri, metodi, strumenti di riconoscimento di qualità e merito nella scuola devono necessariamente avere come riferimento il sapere.

Potremmo fare finta che il ragionamento sia semplice e dirci che se la qualità è quella condizione che  fa la differenza nell’apprendimento da parte di uno studente di conoscenze, abilità e competenze , il merito non può essere che di chi ha saputo insegnarle. Ma forse, alla fine, il ragionamento è davvero così semplice.

Conseguentemente, quando si vorranno definire gli indicatori di merito, non si dovrà fare altro che cercarli nel lavoro che ogni docente fa con i propri studenti.  La qualità e il merito hanno bisogno  di molta chiarezza e di poca confusione. E quindi di nessun compromesso, di  nessun bizantinismo.

  

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