• martedì , 3 Dicembre 2024

Con il principio della sinallagmaticità

tempi duri per i ritardatari – Cassazione

di Agata Scarafilo

Appellandosi al principio della “sinallagmaticità”, la Corte Suprema di Cassazione, con la recente sentenza n. 18462 del 29 agosto 2014, scioglie definitivamente il nodo tra inosservanza dell’orario di lavoro  e omessa pubblicazione del Codice Disciplinare.

L’osservanza dell’orario di lavoro costituisce un obbligo per i dipendenti non solo della pubblica amministrazione (quali sono i docenti e gli ATA per il comparto scuola), ma anche delle imprese private. Esso rappresenta un elemento essenziale della prestazione da cui scaturisce la retribuzione. Genericamente si fa riferimento alla “puntualità”, che è strettamente correlata al  rispetto sia degli orari  che dei turni assegnati attraverso il “Piano di Lavoro”.

L’orario di lavoro, infatti, non è modificabile unilateralmente dal lavoratore, che è disciplinarmente sanzionabile se non lo rispetta.

Tuttavia, l’inosservanza dell’orario di lavoro prestabilito, che per norma e per  principio rientra a pieno titolo nella fattispecie di condotta sanzionabile, ha fatto sorgere alcune questioni di non poco conto legate soprattutto alla preventiva pubblicazione, attraverso il sito,  del relativo divieto sancito dal Codice Disciplinare.

Questioni che, per la verità, di recente sono state chiarite da un’importante sentenza della Corte di Cassazione (n. 18462 del 29 agosto 2014) che, pur trattando nello specifico un caso che non afferisce al mondo della scuola, evidenzia tuttavia un principio di carattere generale applicabile a tutti gli ambiti lavorativi e, quindi, anche alle amministrazioni pubbliche di cui  all’art. 1, comma 2,  del D.lgs. n. 165 del 2001, tra le quali è inclusa anche la scuola.

Si tratta, in buona sostanza, del principio della “sinallagmaticità” delle prestazioni contrattuali, che viene assunto tra i principi civilistici fondamentali ed è riconducibile a quel “minimo etico” di regole che, per essere immediatamente percepibili da chiunque, non renderebbero necessaria la loro preventiva enunciazione (ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori) nel cosiddetto Codice Disciplinare, che ogni datore di lavoro (sia esso pubblico che privato) deve  per legge predisporre e rendere pubblico.

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