• giovedì , 21 Novembre 2024

Claudia Cichetti: “Un genitore che dice di avere un figlio plusdotato dice di avere un problema: spesso resta inascoltato”

 Nina, figlia di Cichetti, ha manifestato il suo alto potenziale in terza elementare: riconosciuta e ben gestita, è ora un caso di successo, ma la madre non nasconde le difficoltà iniziali

 Di Francesca Rizzo

 

Claudia Cichetti è la mamma di Nina, una bambina che in terza elementare ha manifestato il suo alto potenziale. Dopo alcune diagnosi sbagliate, Cichetti ha conosciuto il LabTalento dell’Università di Pavia e scoperto il mondo dei gifted children.

Seguita dagli specialisti del Laboratorio, Nina ha potuto sviluppare il suo potenziale attraverso progetti di didattica sperimentale; ha frequentato due anni (quarta e quinta elementare) in uno, ed ora continua il suo brillante percorso nella scuola media.

La sua esperienza, vissuta analogamente da molti genitori in tutta Italia, è alla base della nascita della Rete “Alto potenziale”, che lavora sulla sensibilizzazione e sulla formazione del personale docente in tema giftedness.

È un’esperienza dura, forte, prova di una generale impreparazione del sistema scolastico italiano nei confronti di questa problematica.

 

L’INTERVISTA

Claudia Cichetti

Cichetti, come si è accorta dell’alto potenziale di Nina?

Si parte da un disagio, da un problema. La bambina a scuola aveva un buon rendimento, ma la maestra ci riferiva gli atteggiamenti tenuti in classe: non riusciva a stare seduta, si distraeva, dava risposte poco educate, leggeva per conto suo durante la lezione. Una mamma attenta anche all’educazione capisce che, se la bambina ha questo atteggiamento, forse c’è qualche problema. Siamo andate da uno psicologo, che ha formulato diagnosi errate; poi abbiamo conosciuto il LabTalento, che attraverso appositi test ha certificato l’alto potenziale di Nina.

 

Cosa significa essere genitore di una bambina ad alto potenziale?

Il primo problema che un genitore incontra è il pregiudizio: sia il personale scolastico, sia gli altri genitori, sono convinti che tu stia dicendo di avere una figlia genio. Questo è già molto invalidante per un genitore che deve fare un percorso e risolvere un problema. Accanto alla potenzialità, a quell’età ci sono molti più disturbi che inficiano sullo sviluppo del bambino e sul veder realizzato questo talento: è una potenza, ma non è niente. Andrebbe sorretto e guidato da chi sa come farlo, ed ecco l’importanza della scuola. Noi, come genitori, ci siamo mossi cercando di essere molto attenti alle sue esigenze e di farle fare quante più attività possibili: i gifted children sono bambini che si nutrono di tante esperienze e attività, di cui la scuola è solo una parte, che però dev’essere in grado di fornire una serie di stimoli che vanno nella direzione dei loro molteplici interessi.

 

Nello specifico, che tipo di impatto ha avuto Nina con l’ambiente scolastico?

Inizialmente l’impatto è stato pessimo: la bambina era molto avanti rispetto alla sua età, ma gli insegnanti non la capivano. Poi c’è stato un allineamento, grazie ad un nostro intervento nell’interessare il LabTalento e grazie alla disponibilità della scuola nell’accogliere la professoressa Zanetti. La scuola si è messa a totale disposizione della professionista, e da quel momento in poi la bambina ha recuperato anche un rapporto umano: una volta riconosciuta e ben indirizzata, è stata apprezzata anche da insegnanti che invece fino a quel momento la vedevano come una bambina disfunzionale. La scuola è fondamentale, il problema è che si pensa sempre che le maggiori attenzioni debbano andare al bambino che ha meno, mentre il bambino che ha di più può fare da solo, è già bravo di suo. Invece no: il gifted child è un bambino problematico tanto quanto il bambino che ha meno, non è un bambino brillante, assennato, studioso.

 

Che tipo di rapporto ha avuto Nina con i compagni di classe?

C’è stato, com’è normale per i gifted children, un problema di identificazione: Nina non si identificava come parte del gruppo, né il gruppo stesso la riconosceva come parte di sé. In questi casi sta alla scuola inserire la diversità del bambino all’interno del gruppo classe.

Questo problema non si poneva nelle attività extrascolastiche: i gruppi extrascolastici sono legati ad interessi specifici nei quali tutti i bambini si riconoscono, lo sport, la musica, il coding; sono tutti allo stesso livello, e non sono raggruppati per fasce d’età: le classi aperte, promosse dal LabTalento, dovrebbero servire a questo, a un raggruppamento per livello intellettivo e didattico che non necessariamente è legato all’età del bambino. Con i coetanei scelti per interessi va molto bene, il bambino si sente a suo agio.

Questi bambini sono una potenzialità, oltre che in se stessi, anche per tutto il gruppo. Il progetto didattico sperimentale attuato dal LabTalento ha permesso a Nina di frequentare due anni, quarta e quinta elementare, in uno: l’esperienza di arricchimento vissuta in quinta è stata poi restituita al gruppo classe della quarta elementare, che quindi era stimolato verso una dimensione altra rispetto alla mera esecuzione dei compiti.

 

Che ruolo gioca la Rete “Alto potenziale”, nata proprio sulla base della Sua esperienza?

Un genitore si trova da solo, rimpallato tra lo psicologo e la scuola, che non comunicano tra loro. La Rete “Alto potenziale” agevola il dialogo, perché ciascuno possa trovare senza difficoltà un interlocutore di riferimento: per i genitori può essere lo psicologo, per la scuola un’associazione che metta a disposizione un’attività extrascolastica supplementare, per un insegnante l’occasione di avere un supporto didattico e formativo. Tutto questo non solo a favore delle scuole più sensibili, ma soprattutto a vantaggio di scuole periferiche, che magari hanno bisogni educativi maggiori e invece ritengono che l’alto potenziale sia trascurabile.

 

L’INTERVISTA A MARIA ASSUNTA ZANETTI, DIRETTRICE SCIENTIFICA LABTALENTO

L’INTERVISTA AD ELISA FORTE, PROMOTRICE DELLA RETE “ALTO POTENZIALE”

 

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