Dal CCNL–Istruzione e Ricerca, sottoscritto il 19 aprile 2018 alla sentenza n. 181/2020 del TAR del Friuli -Venezia Giulia: ricognizione e commento della normativa sull’accesso ai dati personali
Il diritto di accesso procedimentale è riconosciuto dalla Legge 7 agosto 1990, n. 241 a tutti i soggetti privati, compresi quelli che sono portatori di interessi pubblici o diffusi (come i sindacati), i quali abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente rilevante, tutelata o collegata al documento al quale viene chiesto l’accesso
Il diritto di accesso civico semplice, è concesso ad ogni persona, in quanto cittadino, dall’art. 5, comma 1, del Decreto legislativo n. 33 del 2013, affinché possa prendere visione degli atti che l’ufficio pubblico è tenuto, per disposizione di legge o di regolamento, a pubblicare al proprio albo e/o nel proprio sito informativo
Freedom of information act ( FOIA), sancisce il diritto di accesso civico generalizzato, nato dal comma 2 dell’art. 5 del citato Decreto legislativo n. 33 del 2013, modificato dal Decreto legislativo n. 97 del 2016
La materia delle relazioni sindacali scolastiche è stata innovata radicalmente dal nuovo CCNL, sicché deve darsi atto che la modifica intervenuta nella disciplina delle relazioni sindacali interne di istituto è operativa dal 1° gennaio 2016
L’articolo 22 del CCNL ha previsto, tra le prerogative sindacali, alcune materie di informazione successiva, fra le quali comunque non figurano più <i nominativi del personale utilizzato nelle attività e progetti retribuiti con il fondo di istituto>, come invece stabilito dall’art. 6, comma 2, lettera n), del previgente CCNL del 29 novembre 2007, il quale dunque non trova più applicazione
Il TAR ha assicurato che il fatto per il quale nel nuovo CCNL del 18 aprile 2018 non sia stato previsto espressamente che il sindacato ha diritto di ottenere in copia i dati personali relativi ai compensi e alle attività dei dipendenti scolastici beneficiari del fondo di istituto non appare dirimente, cioè significativo
Di Fabrio Scrimitore
Abstract
Allo stato attuale, relativamente al diritto di accesso ai dati personali dei dipendenti scolastici, che il sindacato ritiene essergli conferito dal CCNL–Istruzione e Ricerca, sottoscritto il 19 aprile 2018, si può dare atto che un Tribunale Amministrativo Regionale, con sentenza pubblicata in data 3 febbraio 2021, ha dichiarato che la pretesa del sindacato è legittimamente fondata. Si propone una sintetica ricapitolazione storica della materia.
Per rispondere alla richiesta d’uno degli insegnanti che partecipavano al webinar indetto da un sindacato per i candidati partecipanti al concorso straordinario ancora in atto, il relatore si concesse qualche attimo di riflessione. La domanda, giuntagli ovviamente da remoto, riguardava una di quelle tematiche sulle quali continuano ad esercitarsi le virtù dialogiche degli uffici della pubblica amministrazione, in alternanza con le decisioni della magistratura amministrativa. La domanda di cui si tratta riguardava, in particolare, le relazioni intercorrenti fra il Dirigente scolastico ed i sindacati; il corsista desiderava sapere se i sindacati della scuola hanno, o non hanno, il diritto di conoscere nomi e cognomi dei dipendenti della scuola che hanno beneficiato in qualche modo dei compensi finanziari attinti dal Fondo di istituto.
Dopo aver fatto notare che la domanda che gli era stata rivolta da remoto lambiva soltanto marginalmente le tematiche del concorso a cattedre, il conferenziere si accinse a rispondere premettendo, quasi di malavoglia, una sintesi rapidissima d’uno degli istituti giuridici che non cessano mai di interessare, spesso con effetti blandamente depressivi, i Dirigenti scolastici, al pari della stragrande maggioranza di quelli degli altri uffici pubblici: il diritto di accesso ai dati personali.
Il conferenziere pensò bene che era necessario soffermarsi brevemente, a titolo introduttivo, sul diritto di accesso procedimentale, che la Legge 7 agosto 1990, n. 241 riconosce a tutti i soggetti privati, compresi quelli che sono portatori di interessi pubblici o diffusi (come i sindacati), i quali abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente rilevante, tutelata o collegata al documento al quale viene chiesto l’accesso. Ricordò, però, il conferenziere, che di quel peculiare diritto di accesso – che può interessare soltanto coloro che sono parte attiva, o controparte, di un procedimento amministrativo – egli aveva già parlato in una delle sue precedenti lezioni; preferì, perciò, non ritornare sull’argomento; per lo stesso motivo si fermò a parlare a volo d’angelo sul diritto di accesso civico semplice, cioèsu quella tipologia di diritto che è concessa ad ogni persona, in quanto cittadino, dall’art. 5, comma 1, del Decreto legislativo n. 33 del 2013, affinché possa prendere visione degli atti che l’ufficio pubblico è tenuto, per disposizione di legge o di regolamento, a pubblicare al proprio albo e/o nel proprio sito informativo. Sicché – esemplificò il relatore -, dal momento che la legge esige che ogni scuola debba pubblicare il curriculum vitae del suo Dirigente, ne consegue che ogni cittadino, indipendentemente dal fatto d’essere o non essere insegnante, impiegato amministrativo o genitore d’un alunno della scuola, ha diritto di conoscerlo, indipendentemente dal fatto che sia stato pubblicato o meno.
Poi, attingendo al suo ben qualificato patrimonio di conoscenza e uso della lingua inglese, fece qualche cenno al Freedom of information act ( FOIA), cioè al diritto di accesso civico generalizzato, nato dal comma 2 dell’art. 5 del citato Decreto legislativo n. 33 del 2013, modificato dal Decreto legislativo n. 97 del 2016. Ripeté, così, che era giusto far conoscere ai convenuti le puntuali proposizioni del predetto comma, leggendone il testo riportato in una delle pagine della raccolta di leggi che aveva portato con sè, con la stessa prudenza con la quale il sacerdote, che deve celebrare la Messa al di fuori della sua chiesa, reca con sé gelosamente il messale. E lesse: “Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e l’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha il diritto di accedere ai dati ed ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti, secondo quanto previsto dall’art. 5-bis”. Mentre il diritto d’accesso procedimentale – affermò il relatore – può essere vantato soltanto dal soggetto che dimostri di avere un interesse personale ed attuale ad acquisire quell’atto, le altre due forme di diritto d’accesso non richiedono l’esistenza di situazioni giuridiche personali specificamente tutelate dall’ordinamento; chiunque può utilizzarlo.
“Sembra che si possa univocamente dedurre – aggiunse – che, con quest’ultima norma, il legislatore abbia voluto fare della pubblica amministrazione una sorta di torre, non d’avorio, ma di vetro purissimo, i cui atti devono essere messi a disposizione di qualunque cittadino, senza limiti di sorta. Tanto in omaggio all’irrinunciabile principio di civiltà giuridica, che esige l’assoluta trasparenza degli atti attraverso i quali lo Stato e gli altri enti pubblici perseguono gli interessi generali dei cittadini.
In verità, sembra che l’ordinamento giuridico non possa garantire tale certezza: lo dimostra l’esistenza, nello stesso ordinamento, di disposizioni legislative che limitano il preteso valore assoluto del diritto di accesso ai documenti, al quale si è testè accennato.
Sarà facile, così, prendere atto che il diritto di accesso procedimentale, che, come è stato affermato, è assicurato a chi ne abbia interesse dall’art. 22 della citata Legge n. 241 del 1990, dall’art. 24 della stessa legge tale diritto è limitato, anzi, è proprio escluso, per i documenti protetti dal segreto di Stato, nei procedimenti tributari, nei procedimenti che contengono informazioni psico-attitudinali riferite a soggetti terzi ed alle altre tipologie di procedimenti indicati nell’art. 24.
Allo stesso modo, l’accesso civico è rifiutato allorchè si tratti di evitare un pregiudizio concreto alla tutela dei pubblici interessi riferiti alla sicurezza nazionale e alla politica di stabilità finanziaria dello Stato; infine, si deve rifiutare l’accesso quando ricorra la necessità di evitare pregiudizi agli interessi privati connessi alla protezione dei dati personali, nonchè alla libertà ed alla segretezza della corrispondenza”.
A questa premessa, il relatore, ricordando la massima latina che fissa la funzione del giudice – narra mihi factum, dabo tibi jus -, cercò di affrontare il nucleo fondante della domanda del corsista in webinar, citando le norme ordinamentali che disciplinano le relazioni sindacali di istituto per quel che concerne il diritto dell’organizzazione sindacale di accedere agli atti che si riferiscono alla materia delle relazioni sindacali di istituto.
“L’articolo 6 dell’ultimo CCNL, sottoscritto il 29 novembre del 2007, al 2°comma, con una successione di lettere che va dalla a) alla o), indica le materie che sono oggetto di due tipi di informazione – preventiva e successiva – e quelle oggetto di contrattazione integrativa; ai nostri fini – dichiarò il relatore –, appaiono rilevanti le materie comprese nell’informazione successiva che interessano, in particolare, le lettere n) ed o), nelle quali si legge che: n) Sono materie di informazione successiva i nominativi del personale utilizzato nelle attività e progetti retribuiti con il fondo di istituto; o) verifica dell’’attuazione della contrattazione collettiva integrativa di istituto sull’utilizzo delle risorse.
La chiarezza univoca delle proposizioni che compongono la sopra citata lettera n) non dovrebbe aver fatto sorgere alcun dubbio che, per tutto il tempo in cui è stato in vigore il Contratto collettivo del 2007, cioè, sino al 31 dicembre 2015, il Dirigente scolastico non avrebbe potuto opporre alcun diniego alla richiesta, avanzata da uno dei sindacati che avesse sottoscritto il contratto integrativo di istituto, di rendere noti i nominativi dei dipendenti scolastici che avessero beneficiato di compensi per la loro partecipazione ad attività o progetti finanziati col Fondo di istituto.
Per amor di brevità – continuò il conferenziere –, prescindiamo da quel che è realmente accaduto, durante il lungo periodo di validità del Contratto del 2007, nei rapporti fra i dirigenti sindacali ed i Dirigenti scolastici; riferiamoci al tempo successivo. Mi sia consentito soltanto ricordare che, prima ancora che fosse sottoscritto il nuovo CCNL, il Tribunale Amministrativo del Veneto, con la sentenza n. 950 del 25 ottobre 2017, aveva respinto il ricorso con il quale un sindacato aveva chiesto che venisse dichiarato illegittimo il rifiuto di fargli prendere visione del prospetto analitico dei compensi erogati al personale docente e ATA e dei rispettivi incarichi conferiti.
Tale sentenza è stata successivamente riformata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4417 del 20 luglio 2018, della quale si riporta il dispositivo: <P.Q.M.: accoglie il ricorso ordinando alla Scuola di permettere l’accesso ai documenti amministrativi richiesti con istanza del 2017 dalla Organizzazione Sindacale entro 60 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o di notificazione a cura di parte della sentenza di appello>.
Vero è che il 19 aprile del 2018 è stato sottoscritto, con effetti dal 1° gennaio 2016, il nuovo CCNL, che sarà valido sino al 31 dicembre del 2018 e che si rinnoverà tacitamente di anno in anno, salvo il caso di disdetta o di ulteriori, nuovi Contratti.
Questo contratto si è reso necessario per l’adeguamento del regime normativo contrattuale alla avvenuta ridefinizione dei comparti e delle aree di contrattazione nazionale, disposta dal Contratto Collettivo Nazionale Quadro, stipulato il 13 luglio del 2016; l’art. 54 del suddetto CCNQ aveva rinominato il nuovo comparto di contrattazione collettiva, comprendente il personale non dirigente dell’Istruzione e della Ricerca.
Il Contratto non annulla completamente il precedente CCNL del 2007; lo modifica e lo integra allo stesso tempo, nel senso che l’articolo 1° del nuovo CCNL – Istruzione e Ricerca, al comma 10, così dispone: Per quanto non espressamente previsto dal presente CCNL, continuano a trovare applicazione le disposizioni contrattuali del CCNL dei precedenti comparti di contrattazione e le specifiche norme di settore, in quanto compatibili con le suddette disposizioni e con le norme legislative, nei limiti del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Orbene, la materia delle relazioni sindacali scolastiche è stata innovata radicalmente dal nuovo CCNL, sicché deve darsi atto che la modifica intervenuta nella disciplina delle relazioni sindacali interne di istituto è operativa dal 1° gennaio 2016.
L’innovazione ha interessato soprattutto l’istituto giuridico dell’ informazione, che non appare più distinta in preventiva e successiva, come lo era stata sino al 31.12,.2015; a tale istituto è stato dedicato l’intero art. 5 del nuovo Contratto, che ne ha definito l’oggetto, puntualizzando che <consiste nella trasmissione di dati ed elementi conoscitivi , da parte dell’amministrazione, ai soggetti sindacali al fine di consentire loro di prendere conoscenza delle questioni inerenti alle materie di confronto e di contrattazione integrativa, previste nei successivi artt. 6 e 7>.
Peraltro, mentre il citato 2° comma dell’ultimo CCNL del 2007 aveva scrupolosamente elencato in ben 13 lettere, dalla a) alla o), le materie oggetto di informazione preventiva e successiva, il 4° comma dell’art. 5 del nuovo CCNL dispone sinteticamente: <Sono oggetto di informazione tutte le materie per le quali i successivi articoli prevedono il confronto o la contrattazione integrativa, costituendo il presupposto per la loro attivazione>. E’ ancora opportuno notare – sottolineò il conferenziere – che le materie da ritenere oggetto della contrattazione integrativa di istituto appaiono riportate nell’art. 22 del titolo I della Sezione Scuola del contratto stesso; tale articolo elenca 9 materie oggetto di contrattazione di istituto, ma tra queste non si leggono proposizioni letteralmente o significativamente corrispondenti a quelle che si leggevano nelle citate lettere n) e o) del vecchio Contratto del 2007.
Il senso comune farebbe ritenere che, in conseguenza del fatto che siano state espunte dal nuovo Contratto le su riportate disposizioni delle lettere n) ed o), i sindacati sottoscrittori del contratto integrativo di istituto non avrebbero potuto più chiedere al Dirigente scolastico i nominativi di coloro che avessero partecipato ad attività ed a progetti retribuiti con il Fondo di istituto, né avrebbero potuto pretendere di verificare documentalmente se il contratto integrativo di istituto fosse stato realizzato dalla scuola in piena coerenza con le linee direttive individuate dalle due parti negoziali.
Una tale intuibile inferenza – ammise il conferenziere – ha ottenuto una prudente conferma di correttezza dall’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), secondo la quale, alla luce delle disposizioni del CCNL sottoscritto il 19 aprile 2018 (specialmente alla luce degli articoli 4, 5 e 22) <si ricava la conclusione che la disciplina pregressa relativa alle relazioni sindacali è stata sostituita integralmente dal nuovo dettato contrattuale> e che l’art. 22 del CCNL ha previsto, tra le prerogative sindacali, alcune materie di informazione successiva, fra le quali comunque non figurano più <i nominativi del personale utilizzato nelle attività e progetti retribuiti con il fondo di istituto>, come invece stabilito dall’art. 6, comma 2, lettera n), del previgente CCNL del 29 novembre 2007, il quale dunque non trova più applicazione.
Interloquendo, però, in data 28 dicembre 2020, sulla materia in esame con l’ARAN, il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso una sorta di principio generale in tema di flussi di dati tra le amministrazioni e le organizzazioni sindacali, precisando che: < di regola si debba consentire un accesso preliminare del sindacato ai dati aggregati, riferiti all’intera struttura lavorativa o a singole unità organizzative ovvero a gruppi di lavoratori e, soltanto in presenza di successive anomalie e di specifiche esigenze di verifica, consentire (in casi espressamente previsti a circostanziati) all’organizzazione sindacale di conoscere anche informazioni personali relative a singoli o a gruppi di lavoratori. Ciò, sempreché, nel caso concreto, sia effettivamente necessario per dimostrare la corretta applicazione dei criteri pattuiti e la comunicazione sia limitata alle informazioni pertinenti e non eccedenti rispetto a tale scopo>.
Con sapienza biblica – sembrò ironizzare il relatore – il Garante aveva così concluso:
<Alla luce del caso di specie, si ritiene che il quadro normativo vigente applicabile al c.d. comparto scuola non consenta agli istituti scolastici di comunicare alle organizzazioni sindacali i nominativi dei docenti o di altro personale e le somme liquidate a ciascuno per lo svolgimento di attività finanziate con il c.d. fondo di istituto. La finalità di dare evidenza alle organizzazioni sindacali della remunerazione dei progetti finanziati con il fondo di istituto può essere, infatti, perseguita rendendo disponibile alle parti sindacali, ad esempio, il solo ammontare complessivo del trattamento accessorio effettivamente distribuito, eventualmente ripartito per fasce o qualifiche, senza comunicare i nominativi e le somme erogate individualmente a titolo di compenso accessorio>.
Le concilianti conclusioni del Garante per i dati personali – aggiunse ancora il conferenziere avviandosi alla conclusione del suo intervento – non rappresentano l’ultimo capitolo della controversa materia dell’accesso del sindacato ai dati relativi agli importi percepiti dal personale scolastico per le attività e gli impegni svolti.
L’ultimo capitolo sulla materia è rappresentato dalla Sentenza n. 181/2020, con la quale il Tribunale Amministrativo per il Friuli e la Venezia Giulia ha accolto il ricorso presentato da un sindacato nei confronti di un Dirigente scolastico, finalizzato a ottenere copia della documentazione relativa alla distribuzione delle risorse economiche oggetto di contrattazione integrativa. In una prima fase, il Dirigente aveva fornito al sindacato i dati richiesti, ma in forma aggregata e parzialmente disaggregata (per tipologia di incarico e di attività), mentre il sindacato riteneva di aver diritto di accesso ai dati, riferiti ai singoli beneficiari, dei compensi erogati. Il TAR ha ordinato alla scuola l’esibizione dei documenti richiesti, nel termine di 30 giorni.
Per giungere all’accoglimento del ricorso, i Giudici Amministrativi hanno utilizzato i precetti della legge sul diritto all’accesso procedimentale, dimostrando che il sindacato, quale portatore di interessi diffusi, aveva un interesse diretto, concreto ed attuale a verificare la congruità tra quanto previsto nel contratto integrativo di istituto e quanto effetivamente realizzato utilizzando il Fondo di istituto. In altri termini, il TAR non ha ritenuto che i dati esibiti in forma aggregata o parzialmente disaggregata, forniti dalla scuola, fossero sufficienti ed adeguati per consentire che il sindacato potesse esercitare il suo diritto di verificare la congruità della gestione del fondo di istituto. Si legge in sentenza:
<A questo proposito, l’associazione sindacale ha evidenziato che il dato aggregato non consente di verificare se vi è stata una corretta distribuzione del fondo; si potrebbe infatti creare il paradosso che un ipotetico fondo di euro 1000, destinato a 10 docenti tutti egualmente meritevoli, venga invece suddiviso erogando euro 10 a 9 docenti ed euro 910 ad un unico docente, Si appalesa, quindi, l’inidoneità del dato aggregato a soddisfare le esigenze di tutela dei lavoratori>.
Inoltre, il TAR ha dimostrato che l’esercizio del diritto di accesso a dati personali, quali sono indubbiamente i dati retributivi, non viola il codice sulla privacy (Decreto legislativo n. 196 del 2003). L’art. 2-ter, comma 3, del predetto codice richiede che, per poter legittimamente “trattare” i dati personali, è necessaria la sussistenza di una base giuridica, costituita esclusivamente da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, da una norma regolamentare. Nel caso in specie – conclude il TAR -, a giustificare il trattamento dei dati personali, dandone legittimità, sono proprio le disposizioni sul diritto di accesso di cui alla Legge n. 241 del 1990.
Ancora, per quel che riguarda il diritto di accesso ai dati personali, il TAR ha considerato che < il codice sulla privacy regola solo l’ipotesi – che non ricorre nel caso di specie – in cui esso abbia ad oggetto dati così detti sensibilissimi (cioè dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale e all’orientamento sessuale della persona, art. 60); per il resto, rinvia alla Legge 241 del 1990. Quest’ultima garantisce sempre l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (art. 24, comma 7)>. Sotto questo profilo, non sussistono dubbi in merito al carattere di necessarietà dei documenti richiesti, che consentono di verificare il rispetto della contrattazione integrativa per la cura degli interessi facenti capo all’ associazione sindacale.
Infine – proclamò il conferenziere, felice per la raggiunta conclusione –, il TAR ha assicurato che il fatto per il quale nel nuovo CCNL del 18 aprile 2018 non sia stato previsto espressamente che il sindacato ha diritto di ottenere in copia i dati personali relativi ai compensi e alle attività dei dipendenti scolastici beneficiari del fondo di istituto non appare dirimente, cioè significativo. Tanto perché tale diritto può essere ricavato in via interpretativa, <in ragione del nesso di causalità che esiste fra le informazioni e l’esercizio delle relazioni sindacali >”.
RIFERIMENTI NORMATIVI
Sentenza del Consiglio di Stato n.4417 del 20 luglio 2018
CCNQ 2016
Sentenza del TAR Friuli-Venezia Giulia, n. 181/ 2020