• domenica , 22 Dicembre 2024

Abuso dei permessi ex Legge 104/92

Ancora una volta la Cassazione legittima il licenziamento

di Agata Scarafilo

PREMESSA

Continua la linea dura della Cassazione contro gli abusi dei permessi previsti dalla Legge 104/92. Infatti, con due recenti Sentenze, la n. 9749/2016 e la n. 9217/2016, è ritornata sul tema, ribadendo la legittimità del licenziamento irrogato a seguito dell’accertato illecito utilizzo di tali benefici. Circa un anno fa, con un contributo di maggio 2015 (https://www.scuolaeamministrazione.it/it/legge-10492/), ci siamo occupati di una sentenza della Cassazione, la n. 8784/2015, che giustificava il licenziamento per giusta causa nel caso di uso illegittimo dei permessi per l’assistenza di cui all’art. 33 della Legge 104/92.
Già nel citato contributo, a firma sempre di chi scrive, si affermò che la sentenza avrebbe creato un “precedente giurisprudenziale” di rilievo, incidendo così anche sull’intero sistema normativo che regola la materia.
Così è stato!
Un precedente, dunque, che poteva essere applicabile, anche, al personale del mondo della scuola. Infatti, il diritto di fruire dei permessi in questione deriva da una disposizione di legge che riconosce tale possibilità a tutti i lavoratori dipendenti sia pubblici che privati, previo accertamento di alcuni requisiti.
Insomma, se le regole del gioco sono le stesse, il principio, quindi, vale per tutte le categorie di lavoratori dipendenti pubblici e privati, motivo per cui una sentenza, anche se non afferisce direttamente al mondo della scuola, crea giurisprudenza anche per esso.

NON AMISSIBILE L’ABUSO, ANCHE PARZIALE, DEL PERMESSO
Con la Sentenza 17 febbraio 2016, n. 9749, la Corte di Cassazione ha legittimato un licenziamento per giusta causa a carico di un lavoratore dipendente che usufruiva dei permessi della Legge n. 104/1992 per svolgere altre attività lavorative (comportamento ritenuto contrario al minimo etico). Con la Sentenza 06 maggio 2016, n. 9217, la Corte di Cassazione ha legittimato un licenziamento per assistenza prestata solo parzialmente.
La Suprema Corte ha ritenuto non ammissibile un’assistenza solo parziale durante le ore di permesso concesse dal datore di lavoro, costretto a sopportare modifiche organizzative (spesso con intensificazione di lavoro per gli altri lavoratori) per sopperire all’assenza del dipendente in permesso. Difatti, il lavoratore aveva richiesto alcuni permessi in parola per prendersi cura di una parente non convivente, affetta da grave disabilità ma, in realtà, l’aveva assistita per un numero di ore assai minore.
Dunque, l’abuso sia totale che parziale legittima sempre il licenziamento per giusta causa.

VERIFICA DELL’ABUSO CON I CONTROLLI DIFENSIVI

Tuttavia, mentre è abbastanza agevole comprendere che si commette una frode (sia nei confronti del datore di lavoro che viene privato della prestazione lavorativa dovuta, sia nei confronti dell’intera collettività costretta ad accollarsi l’indebito costo) se, durante la giornata di permesso retribuito per assistere il familiare disabile, si svolgono altre mansioni, più difficile è comprendere come un datore di lavoro possa verificare l’illecito comportamento, visto che a monte non sono previsti per legge controlli in tal senso. Infatti, di regola, al datore di lavoro (per la scuola il Dirigente scolastico) spetterebbe solo la possibilità di verificare la sussistenza dei presupposti prescritti dalla Legge 104/92, cioè quella di effettuare un controllo sulla correttezza formale della domanda presentata, non avendo egli alcuna discrezionalità in ordine alla concessione del permesso. Infatti, in base alla Legge 104/92, il dipendente non è tenuto a giustificare di volta in volta la fruizione del permesso, sicché una eventuale richiesta in tal senso, da parte ad esempio del Dirigente scolastico (datore di lavoro), sarebbe illegittima.
A tale riguardo, è opportuno ricordare al lettore un’altra sentenza della Corte di Cassazione che due anni fa fece molto discutere, ossia la Sentenza n. 4984/2014, la quale legittimò i cosiddetti “controlli difensivi” nei riguardi sempre di un dipendente che aveva utilizzato (abusando) i permessi ex Legge 104/92 per partire in viaggio di piacere. Anche in quel caso la Cassazione non solo legittimò il licenziamento per giusta causa, ma di fatto stabilì anche un “precedente giurisprudenziale”. La Sentenza n. 4984/2014 entrò nel merito dei controlli che erano stati effettuati da un’agenzia investigativa, che non solo furono ritenuti leciti dalla Cassazione, ma anche utilizzabili in giudizio. Essi furono visti come la conseguenza derivante da un legittimo dubbio (ragionevole sospetto del datore di lavoro), provato da alcune dichiarazioni rese da due testimoni. In quel caso, la gravità del fatto era connessa non solo all’allontanamento temporaneo del dipendente dall’abitazione materna, ma anche alla circostanza che, nel giorno in cui fruiva del permesso, egli fosse partito in viaggio di piacere insieme ad amici, con una previsione di rientro non prossimo. Circostanza che rendeva evidente come il permesso per assistere la madre fosse stato utilizzato per altre finalità (un viaggio), per soddisfare le quali sarebbe stato necessario fare ricorso ad altri istituti, quali, per esempio, le ferie.

CONCLUSIONE
La Cassazione, che è al vertice della giurisdizione ordinaria ed ha la funzione di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, con numerose sentenze ha stabilito un principio fondamentale, secondo cui l’uso improprio del permesso per l’assistenza dei congiunti (art. 33 Legge 104/92) giustifica il licenziamento per giusta causa, in quanto compromette irrimediabilmente il vincolo fiduciario indispensabile per la prosecuzione del rapporto di lavoro. A tutto ciò si deve comunque aggiungere il fatto che l’utilizzo dei permessi per fini diversi da quelli per i quali sono stati concessi e la falsa certificazione possono integrare gli estremi dei reati penali di falso e truffa.
Una regola che in fondo vale per tutte le tipologie di permessi e che, a maggior ragione, deve valere anche per i permessi fruiti per l’assistenza di un parente disabile, il cui costo grava sull’intera collettività. Si ricordi a tale riguardo che, ad esempio, per le scuole (amministrazione pubblica), il costo è rappresentato dalla retribuzione del supplente per la sostituzione del dipendente in permesso, mentre, per le imprese private, dall’indennità erogata dall’INPS per ciascun giorno di permesso fruito.
Tuttavia, in numerose sentenze la Cassazione evidenzia che a giustificare il licenziamento non è tanto l’entità del danno eventualmente arrecato a cagione della condotta addebitata, quanto piuttosto l’incidenza di quest’ultima sul fondamentale vincolo fiduciario che sottende ogni rapporto lavorativo, sia esso alle dipendenze di un privato che dello Stato.
In sintesi, le numerose e concordanti sentenze della Cassazione dimostrano che, se è possibile accertare, con qualunque mezzo lecito, la gravità della condotta del lavoratore che utilizza indebitamente i permessi per l’assistenza di cui all’art. 33 della Legge 104/92, il licenziamento è legittimo.

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