Il rapporto Excelsior 2018 di Unioncamere e Anpal conferma la difficoltà, per le aziende, di reperire personale qualificato. È il risultato di un mercato del lavoro in profonda mutazione, e di un sistema formativo che non tiene il passo con le nuove esigenze
Di Antonio G. Lupo AbstractIl paradigma del futuro si compone di competenze “ibride”, ove si considerino i fabbisogni occupazionali del momento e quelli in prospettiva, la sfida delle nuove tecnologie digitali e la necessaria contaminazione dei saperi.
Secondo i dati forniti nell’ultimo rapporto Excelsior da Unione delle Camere di Commercio (Unioncamere) e Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro (Anpal), il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è aumentato del 26%: in un caso su 4 le aziende hanno difficoltà a reperire le figure professionali richieste.
Si auspica perciò una maggiore attenzione al mercato del lavoro e la riconversione, ove necessario, dei percorsi formativi, secondo quanto sottolineato dalle associazioni industriali e dagli enti preposti, al fine di incrementare un effettivo raccordo tra domanda e offerta lavorativa e professionale.
Quali sono le competenze richieste nel mondo del lavoro, secondo le più recenti indagini e ricerche di settore?
Al possesso di indispensabili competenze tecnico-informatiche (riuscire a padroneggiare gli insostituibili strumenti digitali e multimediali, addentrarsi sempre più nel campo dell’intelligenza artificiale e del 4.0) e di nuove conoscenze linguistiche, oltre alla lingua inglese, è da aggiungere il saper gestire efficacemente la comunicazione, investendo in capacità relazionali adattabili alle mutevoli necessità del contingente. La costante disponibilità all’apprendimento e al ri-apprendimento, l’adattabilità al cambiamento e all’innovazione – requisiti inevitabili nei lavori di oggi e del futuro – costituiscono una base di competenze che si evidenziano ulteriormente nella richiesta di profili innovativi. Occorre quindi programmare la formazione secondaria e terziaria – si sostiene – in funzione dei bisogni emergenti.
Prendendo in considerazione alcuni dei profili lavorativi indicati nel rapporto Excelsior tra i primi dieci di cui le imprese hanno bisogno, si riscontra, ad esempio, che il 65% della richiesta insoddisfatta si riferisce ad insegnanti di discipline artistiche e letterarie (il 26% per ridotto numero di candidati, il 35% per inadeguatezza dei requisiti), tenendo inoltre nel dovuto conto la voce relativa alla mancanza di esperienze pregresse. Nell’elenco, accanto ad ingegneri informatici, analisti e progettisti di software, non mancano operai specializzati ed animatori turistici: settore lavorativo, quest’ultimo, che fa registrare un notevole saldo positivo da parte delle imprese.
All’accoglienza turistica, della quale da tempo gli esperti sottolineano le straordinarie potenzialità economiche, nel contesto del patrimonio culturale e paesaggistico italiano, è riservato il 39% delle ultime richieste
In tale ambito, caratterizzato da una notevole ascesa economica (va oltre le 250mila unità la stima delle nuove assunzioni entro il 2022), la trasversalità, già intrinseca nella filiera (trasporti, commercio, social media ecc.), richiama la necessità di figure in possesso di spiccate competenze decisionali e organizzative: saper fare delle scelte, e quindi saper decidere per poter affrontare l’imprevisto, ma anche saper sviluppare reti e canali di commercializzazione, relativi ad esempio alla conoscenza e valorizzazione del territorio, al fine di utilizzare al meglio le potenzialità, le offerte e le risorse economico-culturali del territorio.
Nel campo dell’accoglienza turistica, dove si registrano quindi un saldo occupazionale e un trend positivo, si disegnano nuove figure professionali, come quelle del marketing manager, social media manager e revenue manager, per le quali occorre incrementare le indispensabili esperienze di formazione.
Il fabbisogno di nuove figure professionali altamente specializzate – non solo ingegneri, ma anche tecnici specializzati, esperti di software e web data analist – comporta inevitabilmente quella che genericamente viene definita flessibilità, cioè la continua rimodulazione di pattern organizzativi e gestionali in una società sempre più liquida, senza steccati di delimitazione, dove anche le competenze lavorative e professionali diventano “ibride”, poiché attengono a profili differenti e/o indefiniti, non più identificabili con un iter di studi tradizionale o prospettabili in un usuale mansionario. Oltre alle competenze specifiche in senso stretto, occorre mettere in campo anche abilità tradizionali e tecnologie digitali, combinando il già sperimentato in un’ottica interdisciplinare, aperta ad esigenze che possono variare nel tempo e nei luoghi. Si pensi, per esempio, alla difficoltà di reperire personale di alto profilo professionale (skill ibride) in alcuni contesti regionali, o alla migliorata opportunità lavorativa che deriverebbe dall’inserimento di percorsi economici e giuridici per laureati in Lingue, nonché alle soft skill dell’ingegnere informatico.
A tal proposito, nei report delle indagini di mercato viene più volte evidenziata dalle associazioni di imprese la necessità di riconvertire, integrare o modificare molti percorsi formativi, di potenziare i corsi post-diploma (sistema ITS) per poter rispondere al fabbisogno lavorativo: scuola e università devono necessariamente convergere su binari sinergici e produttivi di saperi spendibili, di competenze gratificanti a breve e a lungo termine
Rimangono, comunque, fondamentali e prioritarie le generiche competenze-chiave relazionali, linguistiche e informatiche, sulle quali, come è ben noto, da tempo si è richiamata l’attenzione da parte degli organismi internazionali e delle istituzioni preposte, a partire dalle Raccomandazioni del Consiglio UE.
Saper lavorare in team e in autonomia, all’insegna della flessibilità e dell’adattamento, è ciò che conta maggiormente, tenendo sempre presente la capacità di problem solving, di cui, a qualsiasi livello (alto, medio e base), non si può fare a meno. In un contesto sociale sempre più complesso e globalizzato, diventa necessario sia saper comunicare, in italiano e in inglese, informazioni tecniche e specifiche, sia essere consapevoli delle problematiche relative alla sostenibilità ambientale e al risparmio energetico.
Tutto ciò nell’ottica di una scuola più attenta al mondo occupazionale, ai tirocini formativi da potenziare ed estendere in ambito extra-scolastico e da attuare quanto prima, lì dove risultano carenti (post-diploma). A tal fine, considerata l’essenziale funzione dei centri per l’impiego, accanto ai canali di reclutamento informali e massmediali, oggi sempre più utilizzati, un osservatorio permanente sui cambiamenti occupazionali gioverebbe senz’altro al raccordo tra mondo del lavoro, istituzioni scolastiche e formazione universitaria. Inoltre, potrebbe certamente contribuire a ridurre il divario che persiste tra domanda e offerta, così come tra Nord e Sud, tra occupazione maschile e femminile, tra impegno di risorse economiche e innovazione, ricerca e sviluppo, formazione universitaria e sbocchi lavorativi.