di Rita Bortone Le parole dicono
In questi giorni, parlando col parrucchiere o col fruttivendolo, col collega che non vedi da tempo o con tuo marito, con l’ex compagno di partito o con l’attuale compagna di burraco, parlando di immigrati e di navi, di buoni e di cattivi, di razzismi e xenofobie, di politiche autoritarie e di politiche insipienti ecc. ecc., molti di noi – credo – si son trovati a discutere su ciò che è giusto e ciò che non lo è, di quello che sta accadendo. Ascoltando me stessa, mi sono accorta di assumere talvolta posizioni “contro” altre posizioni pur contrarie fra loro. Perché magari sei d’accordo con una valutazione ma non sei d’accordo con gli argomenti utilizzati a sostegno, o perché comprendi il bisogno da cui nasce un’affermazione ma non la accetti sul piano della razionalità, e così via. Questioni di complessità non solo dell’esistente, ma della comunicazione tra persone, anche tra quelle con cui fino a ieri pensavi di essere in sintonia.
Su molte cose penso che siano comprensibili e “legittime” le posizioni diverse, perché diverse sono le motivazioni, gli stati d’animo, le attese, le interpretazioni, i ragionamenti.
Penso invece che non possano esserci posizioni diverse sul lessico che impunemente, e tra gli applausi generali, il Ministro dell’Interno sta usando a proposito degli eventi che tanto turbano il Paese.
Un signore che si chiamava Vygotskij, e che mi è capitato di studiare quando ero giovane, diceva che il linguaggio e il pensiero non sono due cose distinte, sono tutt’una cosa: il linguaggio è insieme strumento e prodotto del pensiero. Ora non voglio certo dissertare intorno a problemi di linguistica, ma voglio dire che alcune parole usate dal nostro Ministro dell’Interno per parlare delle drammatiche situazioni dei migranti e per annunciare le sue intenzioni di “pulizia etnica” nel nostro Paese, mi sembrano espressione non solo di una cultura xenofoba, ma di un disprezzo nei confronti della persona, che contrasta con tutto il sentire della nostra civiltà, con la nostra cultura, con i principi e i valori su cui si fondano la nostra società, la nostra convivenza civile, la nostra Costituzione.
Il sarcasmo con cui il drammatico viaggio dei migranti diventa “crociera”, o la violenza con cui la tragica promessa dell’espulsione si traduce in “la pacchia è finita”, mi sembrano spie di atteggiamenti e pensieri che prima d’essere xenofobi sono privi di senso della persona, di quella cosa che finora abbiamo chiamato umanità.
Ciò che mi fa paura è la convinzione che questi atteggiamenti terribili (che io trovo terribili), attraverso parole terribili anch’esse (ma furbescamente usate tra la voce grossa e il sorriso, per piacere di più a noi simpatici italiani) finiscono col costruire altro pensiero della stessa natura, altri atteggiamenti della stessa disumanità. Ma dai, dirà certamente qualcuno, noi italiani siamo un popolo buono, di umanità siamo sempre stati ricchi!
Sì, siamo buoni e generosi e piangiamo per i bambini e per le mamme con la pancia, ma se la disumanità si nasconde dietro affermazioni di “un uomo forte” che alza la voce ma sa fare battute, e fa il viso un po’ sorridente e un po’ incazzato, e si gioca (e se lo gioca benissimo!) il personaggio che lui sì che ci dà tranquillità e sa risolvere i problemi, allora anche la disumanità ci coinvolge senza che ne siamo consapevoli, e non ne vogliamo vedere i segni, e ci identifichiamo con parole che vogliamo credere che siano normali, e che dai, non sono così gravi come le vedi tu, tu vuoi vedere il male dove non c’è, qui c’è solo, finalmente, la volontà politica di fare ordine!
Oggi alle “crociere” degli immigrati e alla “pacchia finita” degli stranieri in Italia, si aggiunge che “va fatto il censimento dei Rom”, ma “quelli italiani tocca tenerseli”.
Penso che nelle discussioni vadano scoperti i “luoghi” in cui si annida il razzismo, e penso che questi luoghi siano, spesso, le parole dette che nascondono un terribile non detto.
Una scuola “per la cittadinanza” ma “senza commenti politici”!
Leggo la notizia dello scontro tra la preside Scalfi e la deputata leghista Cattoi e della scontata solidarietà delle colleghe leghiste. Leggo con particolare interesse l’affermazione condivisa (dalle deputate medesime) che a scuola non si fanno commenti politici.
Leggo addirittura che a un insegnante non si addice l’espressione delle personali opinioni politiche su luoghi pubblici (Facebook).
Penso che io non sono più né insegnante né dirigente, e mi domando se quindi mi è concesso esprimere personali opinioni politiche. Penso anche gesùgesù dove stiamo andando.
Ma tra la paura e lo sgomento, leggo che a settembre si terrà a Firenze il primo dei seminari ministeriali nazionali sul tema “Costituzione e cittadinanza”.
Le scuole sono invitate a lavorare, e a presentare le proprie esperienze, su tematiche come “A scuola di Costituzione”, come “Cittadinanza e solidarietà sociale”, come “Cittadinanza e diversità”: leggo cose che parlano di conoscenza della Costituzione e sua concretezza nella vita quotidiana, e di servizio alla comunità, volontariato, supporto a persone, e ancora di rispetto e valorizzazione delle diversità nel loro contributo alla costruzione della convivenza a scuola e nella comunità…
Queste cose leggo, che sono espressione della cultura ministeriale di ieri, e ancora altre, che parlano dei nuovi scenari economici globali e di fattori che rendono più complesso il compito della scuola, alla ricerca di un nuovo umanesimo e richiedono certamente un aggiornamento della proposta educativa (…) (G. Cerini, Scuola7 n. 94, Tecnodid). Parole che parlano di nuovo umanesimo, leggo.
E penso a quante volte leggiamo nei documenti ministeriali, e scriviamo nelle nostre carte progettuali, della necessità di porre i giovani di fronte ai contesti della contemporaneità, di insegnare loro la parzialità delle verità anche scientifiche, di sviluppare le capacità di confrontare punti di vista diversi, e di insegnare ad assumere decisioni e a compiere scelte fondate su dati e su argomentazioni: quante volte insomma parliamo di pensiero critico.
Leggo che locale e globale si incrociano nelle nostre classi multiculturali e richiedono un impegno più consistente sui temi dell’educazione alla cittadinanza (…).
Care deputate leghiste, se ho capito bene, voi volete invece che il vostro Ministro dell’Interno sia la sola voce ad essere ascoltata? Volete che gli insegnanti e i dirigenti siano ripetitori delle vostre terribili cose d’oggi, contrarie a tutti i valori che la scuola contemporanea si sforza di insegnare? Contrarie al dettato di quella Costituzione che ci si chiede di insegnare e di rendere viva nella concretezza della quotidianità? Se capisco bene, voi non volete affatto il pensiero critico dei nostri giovani?
Mi viene in mente il sospetto cattivo che non lo vogliate perché chi ha pensiero critico sa pensare, sa leggere le parole, sa scoprirne le contraddizioni, e sa anche fare i confronti, e vedere le analogie con altri momenti tristi e altre storie d’Italia, in cui l’insegnante, infatti, commenti politici non ne poteva fare, e non poteva insegnare se non le parole d’ordine sancite dai Salvini dell’epoca, e in silenzio doveva assistere ad altri allontanamenti, altre pulizie etniche, altre nefandezze.
Dovete scrivere altre carte, però, se volete questo.
Oggi, le carte della scuola, dicono altro. Per ora, dicono altro.
Care deputate leghiste, forse di scuola non capite molto, e forse non ve lo ha mai spiegato nessuno, ma ascoltare una sola voce non fa bene ai ragazzi. Oggi, la cittadinanza attiva richiede pensiero critico, e il Paese si augura che gli insegnanti sappiano svilupparlo davvero, resistendo a intimidazioni e preservando come bene prezioso la propria libertà di pensiero e quella dei loro allievi.
Frammenti di vite al campo Rom
Dedico a tutti i Rom questo frammento narrativo, tratto da un mio lontano lavoro che si chiamava “Dieci incontri al campo sosta”.
(…) Abbiamo appena finito la chiacchierata con Zoraya che entra nella casa un giovane dal viso a me vagamente noto. Gli chiedo “E tu chi sei?”. Si stupisce della domanda, mi osserva. Gli chiedo se per caso il mio viso gli dice qualcosa. Riflette, fruga in memoria, s’illumina: mi riconosce. È Ferdi, uno dei miei alunni più vivaci, simpatico, non stupido, furbetto, frequentatore della presidenza, dove gli insegnanti lo spedivano quando faceva macello in aula. Ricordo che a me era simpatico, proprio per quell’aria spavalda e insieme sorridente che lo caratterizzava. Gli chiedo quanti anni ha ora, mi dice 27, gli domando: “Sei sposato?” “Sì”, mi dice, e fa il segno di due con l’indice e il medio. “Due figli?” gli chiedo. “Noo! Due mogli!”. Due mooogli??? mi stupisco, e stupidamente chiedo “E perché?” Lui ride divertito e risponde “Perché mi piacciono le donne!” Bukuria, che ha capito il senso della mia stupida domanda, mi segnala che la famiglia Toskjc, contrariamente alla famiglia di Mira, che è cattolica (infatti era venuto Don Attilio a benedire la casa e a recitare non so che preghiere, mentre c’eravamo noi) è di religione islamica, e quindi i suoi membri possono praticare la poligamia.
“Ma le due mogli vivono tutte e due con te?” “Certo!” “E si accettano l’un l’altra?” “Certo! La prima ha 26 anni, la seconda ne ha 18, ma sia l’una che l’altra hanno accettato il mio doppio matrimonio e la convivenza”. Provo a domandare, con qualche esitazione e attraverso giri di parole, chiedendo scusa per l’indiscrezione e premettendo che poteva anche non rispondermi, come fanno a gestire la loro vita sessuale. Ferdi non capisce cosa gli sto chiedendo. Glielo dice Bukuria, che invece ha capito nonostante la mia confusione, e sorridendo con l’aria sorniona e un po’ ammiccante glielo traduce. Ferdi sorride ma pronto risponde “Che problema c’è? Una sera dormo con l’una e una sera con l’altra, no?”. “E loro lo accettano?”, insisto io. “Ma certo che lo accettano – dice lui – che c’è di strano?”. Interviene Bukuria e dice: “Gli italiani hanno la moglie e l’amante, ma di nascosto. Lui ha due mogli, ma lo sanno e lo accettano tutte e due: non è meglio così?”. Resto spiazzata, dimentico anche di chiedergli come stanno le cose dal punto di vista giuridico. (…)”