I movimenti xenofobi dilagano in tutta Europa, trovando terreno fertile tra i più giovani: è la risposta di chi contrappone ai fenomeni migratori contemporanei una sedicente “identità”, estremista e pericolosa; la riflessione di una studentessa
Di Francesca Toma*AbstractIn un mondo alle prese con problemi complessi come un’immigrazione dalle dimensioni incontrollabili, le ideologie nazionalistiche e populistiche intendono offrire visioni semplificate. L’opinione pubblica appare particolarmente sensibile alla difesa dei valori tradizionali, in contrapposizione a culture ritenute inconciliabili veicolate dai migranti e alla stessa UE, percepita come nemica delle sovranità nazionali.
Ci sono parole che sono pietre. “Identità” è una di queste. «Una parola pericolosa», l’ha definita lo storico Tony Judt; peggio, «una parola assassina», ha scritto il premio Nobel Amartya Sen. E questo perché l’uso della divisione dell’umanità in identità collettive serve oggi per innalzare barriere di esclusione sociale e politica.
Non è una novità: nei secoli passati, barriere simili sono state erette in nome della civiltà contro la barbarie, della “vera religione” contro l’eresia, della nazione o dell’ideologia propria contro quella altrui. Ne sono nati conflitti feroci, genocidi, razzismi. Oggi è l’afflusso di emigranti dai Paesi poveri e dai regimi dittatoriali nelle nazioni del mondo ricco e libero a scatenare movimenti populistici schierati dietro la bandiera dell’identità. Al contrario, certi movimenti politici e sociali di un mondo arabo in rivolta contro l’Occidente alzano l’opposta bandiera dell’identità religiosa islamica. In tal modo le tensioni del nostro tempo, che oppongono le economie sviluppate al resto del mondo, vengono presentate sotto la maschera di un presunto conflitto di inconciliabili identità religiose e culturali indifferenti al mutamento storico, quasi un attributo naturale di popoli diversi per razza.
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