A proposito di cooperative learning
, peer education, didattica laboratoriale, comunità di pratiche
di Antonio Santoro
Nel ricordo della lezione di Cesare Scurati, ho rilevato anch’io, di recente, la necessità di un nuovo e più deciso impegno della scuola per la “creazione di una <civitas> morale collettiva” (1): l’urgenza, cioè, della “attivazione di itinerari (scolastici) di natura educativa” (2) sempre più e in vario modo richiesti dalle diversità, dalle lacerazioni, dalle incertezze e dalle precarietà della “società liquida” del tempo presente.
Certo, la frequenza scolastica è, in termini specifici e viepiù evidenti, esperienza di conoscenza critica dei territori dei “saperi organizzati” (discipline), quindi di padroneggiamento progressivo dei linguaggi della cultura, ma non può non essere, anche, incontro continuo e significativo con il mondo dei valori, vale a dire considerazione responsabile, nella concretezza delle dinamiche relazionali, delle esigenze di ascolto empatico, di rispetto, di condivisione consapevole, di solidarietà: per apprendere i modi di “non […] lacerare la società in una pluralità di subculture reciprocamente ostili” (3). E, dunque, perché nelle realtà del sistema-scuola non si trascuri la prospettiva della formazione di “cittadini futuri che sappiano rispondere adeguatamente alla pluralità e alla diversità e che siano in grado di gestire produttivamente i conflitti attraverso il dialogo e forme di convivenza pacifica, di solidarietà e di altruismo, oltrepassando quell’imperante individualismo che oggi contrappone il condominio all’agorà “ (4).
Si tratta, evidentemente, di un orientamento educativo che chiede all’insegnante un “lavoro di cura” (caring) della crescita integrale della persona, proponendogli, in particolare, l’utilizzo non occasionale di quelle strategie didattico-organizzative (cooperative learning, peer education, didattica laboratoriale, comunità di pratiche, ecc.) “che promuovono, oltre all’acquisizione dei contenuti, l’apprendimento di abilità sociali quali la capacità di decentrarsi – da un punto di vista sia culturale (etnocentrismo), sia personale (egocentrismo) –, la problematizzazione dei pregiudizi, la razionalizzazione degli stereotipi e lo sviluppo dell’empatia che, trasformate in modelli comportamentali, guidano gli allievi verso condotte improntate all’etica e alle relazioni significative” (5). La sollecitazione auspica, in definitiva, una cifra professionale che risulti sistematicamente “mossa dall’intenzione di rendere buona la qualità della vita per sé e per gli altri”, e che pertanto porti a considerare “fondato parlare della cura come di una pratica intimamente etica” (6).
Un orientamento educativo che chieda all’insegnante un “lavoro di cura” (caring) della crescita integrale della persona, è una “pratica intimamente etica”
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