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Bauman, educazione e scuola nella società liquido-moderna

E’ scomparso Zygmunt Bauman, filosofo e interprete della contemporaneità. Nel volume Cose che abbiamo in comune. 44 lettere dal mondo liquido, Editori Laterza, Bari 2012, di cui riproponiamo la recensione a firma di Antonio Santoro, uscita su Scuola e Amministrazione nel 2013, la riflessione sulla difficoltà dell’educare e dell’istruire nel tempo presente

di Antonio Santoro

 

bauman Nell’ultimo scritto di Zygmunt Bauman (Cose che abbiamo in comune. 44 lettere dal mondo liquido, Editori Laterza, Bari 2012) le difficoltà dell’educare e dell’istruire nel tempo presente, in cui tutto muta continuamente e tutto quindi “accade con una rapidità e una fluidità tali da impedirci di intervenire in maniera concreta ed efficace per stabilirne o mutarne il percorso, preservarne la traiettoria o anticiparne l’andamento” (p. 3).

Innanzitutto l’accertata impossibilità di “instillare” nei giovani, “per amore o per forza, l’autodisciplina necessaria ad affrontare la monotona routine di un lavoro” e di fornire loro modelli di comportamento “sulla base di norme precise” (pp. 42-43). Nella precarietà che tutto avvolge, le tradizionali <consegne> alle nuove generazioni risultano del tutto problematiche: perché “In questa nostra era moderna […], contraddistinta da cambiamenti rapidi, profondi e permanenti delle condizioni di vita, il sospetto inter-generazionale è molto più marcato”; perché sempre più “anziani e giovani tendono a scrutarsi con uno sguardo misto di incomprensione e incomunicabilità”; perché “Entrambi provano insoddisfazione […] di fronte all’attuale stato delle cose e alla direzione a cui il loro mondo sembra essere avviato – e attribuiscono agli altri la colpa del proprio disagio”; e soprattutto perché si ha l’impressione che sia sempre “troppo presto per capire in che modo gli atteggiamenti e le vedute radicate nei giovani di oggi finiranno per adattarsi al mondo che verrà, e in che modo quel mondo risponderà alle aspettative che questi giovani sono abituati a considerare certe” (14-16).

 

Le “lettere dal mondo liquido” del noto sociologo di origine polacca evidenziano poi, in termini ancor più puntuali e specifici, l’odierna <crisi dell’istruzione> . “La storia dell’istruzione – scrive Bauman – ha conosciuto molti periodi critici, durante i quali apparve evidente che presupposti e strategie apparentemente collaudati e affidabili stessero perdendo la presa sulla realtà ed esigevano di essere riconsiderati, rivisti e riformati. L’attuale crisi sembra però diversa da quelle che l’hanno preceduta.

Le sfide dei nostri giorni assestano duri colpi all’essenza stessa dell’idea di istruzione, così com’è stata intesa sin dagli albori della lunga storia della civiltà. Esse mettono in dubbio le invarianti di tale idea: quei tratti costitutivi dell’istruzione che in passato hanno resistito a ogni sfida, emergendo indenni da tutte le crisi, assunti mai indagati o messi in discussione, e ancor meno sospettati di aver esaurito il loro cammino e di aver bisogno di essere sostituiti” (101).

Insomma, precisa Bauman, “Il pensiero che l’istruzione possa essere un <prodotto> di cui appropriarsi e da conservare per sempre ci appare (oggi) deprimente e certo non testimonia a favore dell’idea di un’istruzione scolastica istituzionalizzata”. E’, infatti, la “natura intermittente ed essenzialmente imprevedibile dei cambiamenti contemporanei” a minare alla radice i “presupposti basilari dell’istruzione” scolastica e a “mettere continuamente in discussione la verità della conoscenza esistente” (102-103).

Sia pure con argomentazioni diverse, sembra di riascoltare il giudizio di Ivan Illich e Everett Reimer sulla scuola, il loro convincimento radicale della morte della scuola in quanto <istituzione assolutamente inefficiente, in una società tecnologica sempre più efficiente>. In buona sostanza, di risentire la riproposizione, naturalmente aggiornata, della prospettiva di ricerca di <alternative nell’educazione>, perché “E’ il mondo al di fuori degli edifici scolastici a essere ormai molto lontano dal tipo di mondo per il quale le scuole tradizionali […] preparavano i loro studenti” (107).

Credo, tuttavia, che il ritorno delle posizioni dei descolarizzatori debba essere valutato, e realisticamente accolto, come un’ulteriore sollecitazione a riconsiderare criticamente ruolo e compiti dell’istituzione-scuola nella società contemporanea; e non solo, o non tanto, per fronteggiare la rilevata tendenza di uomini e donne del tempo liquido-moderno a preferire, più che la guida di insegnanti, la vicinanza di consulenti  a pagamento “che offrano loro una conoscenza pratica, un savoir être o savoir vivre, anziché il semplice savoir, la conoscenza teorica che gli educatori ortodossi desideravano impartire e sapevano trasmettere ai loro allievi” (109). Ruolo e compiti da ridefinire, essenzialmente, con riferimento alla prospettiva auspicata di un’educazione e di un’istruzione che continuino per tutta la vita, e alla necessità di percorsi formativi che gradualmente portino tutti e ciascuno ad orientarsi sempre più, e meglio, nell’<opulenza comunicazionale> della società di oggi, a sviluppare cioè la capacità “di attribuire importanza ai diversi elementi di informazione e, contemporaneamente, di attribuire più importanza a taluni piuttosto che ad altri” (113).

Impegni promozionali della scuola da rivedere inoltre, sul versante delle relazioni, con la consapevolezza che oggi e più ancora domani “la vicinanza agli estranei è un destino non negoziabile” e che dunque “occorre trovare, sperimentare e collaudare un modus vivendi capace di rendere tale convivenza accettabile, e la vita vivibile”: senza alcuna resa nei confronti della facile “tendenza a costruire delle isole di affinità e uguaglianze nel mare della varietà e della differenza”, ma affrontando e imparando invece “l’arte del negoziare significati condivisi e una modalità reciprocamente gratificante di convivenza” (178-179).

 

 

 

Scuola & Amministrazione, Febbraio 2013

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