• martedì , 16 Luglio 2024

Il D.lgs. 116/2016 contro i furbetti del cartellino

con particolare riguardo agli obblighi del dirigente scolastico

di Francesco G. Nuzzaci

1 Scuola e Amministrazione si è già occupata dei cosiddetti furbetti del cartellino: una prima volta all’indomani della bozza approvata dal Consiglio dei ministri (numero di febbraio 2016), una seconda volta dopo i pareri sull’argomento resi dal Consiglio di Stato e dalla Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali (numero di maggio 2016).
Registriamo ora, dopo il completamento degli ultimi passaggi previsti dalla legge delega 124/15, l’avvenuta pubblicazione nella gazzetta ufficiale n. 149 del 28 giugno 2016 del decreto legislativo n. 116 del 20 giugno 2016.
L’impianto del decreto risulta confermato rispetto alla sua versione originaria, ma ha tenuto conto dei diversi rilievi formulati dai soggetti istituzionali via via interloquiti, in larga misura coincidenti con i punti problematici da noi segnalati nei sopracitati interventi.
Esso consta di tre articoli, di cui solo il primo reca le disposizioni di carattere sostanziale, nel mentre il secondo e il terzo contengono, rispettivamente, la clausola di invarianza finanziaria – nel senso che dalla sua attuazione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica – e le disposizioni transitorie che statuiscono l’applicazione della novella legislativa agli illeciti commessi dopo la sua entrata in vigore, il 13 luglio 2016.
2. Il predetto articolo 1, con riguardo al licenziamento disciplinare e nella ricorrenza di determinate fattispecie, apporta le inerenti modifiche all’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell’articolo 1, comma 17, lettera s), della legge 7 agosto 2015, n. 124. Ma lascia immodificato il generale apparato sanzionatorio già normato dal D. Lgs. 150/09 e confluito nei restanti articoli 55, 55-bis, 55-ter, 55-quinquies, 55-sexies del testo unico del pubblico impiego, che espressamente vengono tutti fatti salvi.
2.1 Le suddette nuove fattispecie concernono anzitutto l’integrazione della falsa attestazione della presenza in servizio mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente con l’aggiunta del sintagma anche avvalendosi di terzi per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso; e chiamandosi a risponderne chi abbia agevolato, con propri comportamenti sia attivi che omissivi, la condotta fraudolenta.
2.2 E’ poi confermata l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, nei cui confronti ora il testo di legge fa esplicitamente salvo il diritto all’assegno alimentare, nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti. Ed è parimenti confermata l’assenza dell’obbligo di preventiva audizione in caso di falsa attestazione della propria presenza al lavoro, sia per accertata flagranza che per alterazione o manomissione dei relativi strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi.
La sospensione è di competenza del responsabile della struttura – che, quindi, non necessariamente deve rivestire una qualifica dirigenziale: come nelle istituzioni scolastiche ancora rette dai residuali c.d. presidi incaricati – in cui il dipendente (non)lavora, o dal competente Ufficio per il procedimento disciplinare, se per primo sia venuto a conoscenza della fattispecie verificatasi: in entrambi i casi, il termine per provvedere è di quarantott’ore dalla conoscenza del fatto.
La violazione di tale termine non determina però la decadenza dell’azione disciplinare né l’inefficacia della sospensione cautelare adottata/adottabile in ritardo, salva la responsabilità del dipendente (il dirigente o il preposto alla struttura, oppure il responsabile dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari) cui sia imputabile la causa del mancato o ritardato provvedimento.
Nel nostro caso, il dirigente scolastico, contestualmente e unitamente al provvedimento sospensivo cautelare, dovrà pertanto limitarsi a rimettere gli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari, senza contestare alcunché al proprio dipendente infedele, perché la sanzione irrogabile eccede la sua competenza, che prevede come misura massima la sospensione dal servizio e dallo stipendio per non oltre dieci giorni.
2.3 Da questo punto in poi la scena è interamente occupata dall’Ufficio per i procedimenti disciplinari; che dovrà immediatamente procedere a formale contestazione di addebito e convocare con un preavviso di almeno quindici giorni l’incolpato per il contraddittorio a sua difesa. Questi – secondo la preesistente disciplina generale – può sempre farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. E fino alla data dell’audizione è sempre nella sua facoltà inviare una memoria scritta, infine potendo formulare una motivata istanza di rinvio del termine per l’esercizio della sua difesa in caso di grave, oggettivo e assoluto impedimento, e solo per una volta nel corso del procedimento.
L’Ufficio conclude il procedimento entro trenta giorni, decorrenti non più dall’atto di contestazione dell’addebito, bensì dalla – legalmente accertata – ricezione della contestazione dell’addebito da parte del dipendente: il che dovrebbe vanificare quei collaudati furbeschi comportamenti per sottrarsi alla comunicazione e far maturare i termini decadenziali.
La seconda, non meno incisiva, modifica rispetto alla disciplina generale è che, alla pari di quanto previsto per la sospensione cautelare, la violazione di detti termini, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dell’azione disciplinare né l’invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non si sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all’articolo 55-bis, comma 4: vale a dire centoventi giorni, sempre – come appare ragionevole per la natura speciale della specifica neointrodotta disciplina – dall’accertata ricezione della contestazione degli addebiti da parte dell’incolpato.
Contestualmente all’avvio del procedimento disciplinare, ed entro il termine di quindici giorni, il responsabile dell’Ufficio disciplinare dovrà poi inviare denuncia al pubblico ministero, deputato alla valutazione dei presupposti per l’esercizio dell’autonoma azione penale, e segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti, per l’avvio dell’azione di responsabilità o risarcitoria, ora rimettendosi la quantificazione del danno risarcibile alla valutazione equitativa del giudice erariale, anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi d’informazione, ma confermandosi che in nessun caso l’eventuale condanna può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre agli interessi e alle spese di giustizia.
2.4 Per ultimo viene riproposta la misura, rigida o fissa che dir si voglia, della sanzione disciplinare irrogabile al dirigente della struttura o al suo preposto (nel nostro caso, il dirigente scolastico o il c.d. preside incaricato, privo della qualifica dirigenziale), ovvero al responsabile dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari, per omessa attivazione del procedimento disciplinare e omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare, in entrambe le evenienze senza giustificato motivo. La sanzione consiste nel licenziamento e della stessa è data notizia all’autorità giudiziaria perché possa liberamente accertare la sussistenza di eventuali reati.
3. Il tempo decreterà se il testo di legge testé sintetizzato reggerà o meno alle pronunce giudiziali, che si presume saranno sollecitate in misura non irrilevante. Al momento a noi sembra che, nel complesso, questa speciale disciplina del licenziamento disciplinare non possa dirsi affetta da irragionevolezza, e quindi riteniamo che sia idonea a superare l’eventuale vaglio di costituzionalità. Può anzi dirsi che essa – secondo il suggerimento espresso dalla Conferenza Unificata nel richiesto parere – potrà ben essere estesa al generale sistema sanzionatorio disciplinare, di cui costituisce uno stralcio provvisorio per essersi dovuto corrispondere (un po’ frettolosamente) ad una pressione mediatica, quando sarà data piena attuazione alla delega della legge 124/15.
Si è detto però nel complesso. Perché resta irrisolto un evidente elemento di criticità: della non corretta applicazione del principio di proporzionalità nella determinazione delle sanzioni – disciplinare ed eventualmente penale – a carico dei soggetti che omettano l’attivazione del procedimento disciplinare o, addirittura e ancor prima, l’adozione del provvedimento di sospensione cautelare.
Per il vero, nel decreto in esame si parla di omissione e non di ritardo (oltre le quarant’otto ore); che quindi può ritenersi sanabile entro i termini legali che consentano la valida conclusione del procedimento: centoventi giorni dalla contestazione dell’addebito, se non dalla ricezione del medesimo da parte dell’incolpato (supra).
Questa interpretazione strettamente letterale dovrebbe dunque imporsi, se non altro per evitare la comminazione di una sanzione spropositata – il licenziamento – per essersi adottato in ritardo, magari di un solo giorno, il provvedimento di sospensione cautelare, ma senza che ciò rechi alcun pregiudizio alla sua efficacia, allorquando esso venga comunque formalizzato, e alla contestuale azione disciplinare.
Ma anche qualora l’omissione non risulti sanabile, per essersi oramai verificato proprio quel pregiudizio irreversibile all’attivazione-prosecuzione dell’obbligata azione disciplinare, può ritenersi ragionevole l’irrogazione della stessa sanzione inflitta al dipendente fedifrago, il licenziamento secco, senza nessuna previa valutazione, se non delle circostanze oggettive, della personalità del soggetto omissivo? E in più con l’obbligo di denuncia alla Procura della Repubblica?
Questa equiparazione, sotto il profilo sanzionatorio, tra chi ha commesso l’illecito e chi ha posto in essere una condotta successiva e diversa, censurata dal Consiglio di Stato e non considerata dal Legislatore, è da presumere che finirà con l’impegnare i giudici della Corte costituzionale; a meno che non vi si ponga rimedio in sede di preannunciata compiuta attuazione della delega per la riscrittura organica dell’intera materia che qui ne occupa.
4. E, nella circostanza, intenderemmo riproporre quanto suggerito analizzando a suo tempo la primigenia bozza del decreto, coerente con i potenziati poteri e correlate responsabilità di tutta la dirigenza pubblica ad opera della stessa plurimenzionata legge delega 124/15 e, per la dirigenza scolastica, della parallela legge 107/15: che avrebbero a disposizione un efficace strumento di gestione, sia pure da azionare extrema ratio e, beninteso, secondo i vincoli di legge.
La proposta consiste nell’attribuire alla competenza del dirigente di ogni struttura organizzativa, in cui il dipendente presta servizio, la competenza ad irrogare l’intera gamma delle sanzioni disciplinari, sia quelle qualificate meno gravi (sospensione sino a dieci giorni) che gravi (dalla sospensione per più di dieci giorni al licenziamento), confermandosi gli attuali differenziati termini infraprocedimentali.
E l’occasione sarebbe altresì propizia per contrastare una giurisprudenza che sta, inopinatamente, prendendo piede, secondo cui le sanzioni disciplinari irrogabili dal dirigente scolastico non possono andare oltre la censura.
L’ultima pronuncia è del Tribunale di Pavia-Sezione lavoro, n. 221/2016, susseguente a conformi sentenze del Tribunale di Ferrara del 30.10.11, del Tribunale di Lagonegro del 16.01.13, del Tribunale di Torino del 03-06.13, del Tribunale di Potenza del 04.10.13, della Corte d’appello di Torino n. 1079 del 07.11.13, che ha capovolto la contraria pronuncia resa in primo grado, n. 2818 del 10.09.12, dal Tribunale della stessa città.
Ce ne siamo già occupati su questa rivista nel numero di dicembre 2012 (Le sanzioni disciplinari che il dirigente scolastico può irrogare), esprimendo tutte le nostre perplessità nel sottoporre al vaglio critico le ragioni di tali decisioni condensabili in questi passaggi:
a)attese la tipicità e la tassatività delle fattispecie disciplinari, per i docenti non può darsi luogo, da parte del dirigente scolastico, alla sospensione dal servizio fino a dieci giorni, perché prevista solo per il personale ATA, ai sensi dell’art. 93 CCNL Scuola;
b) per i docenti, invece, il precedente art. 91 dispone che continuano ad applicarsi le norme di cui al Titolo I, Capo IV della Parte III del D. Lgs. 297/94, che prevedono – dopo l’avvertimento scritto e la censura – la diversa sanzione interdittiva minima della sospensione dall’insegnamento fino a un mese, che non è ex litteris nella competenza del dirigente scolastico;
c) il dirigente scolastico deve quindi, al fine della definizione della propria competenza, limitarsi ad inquadrare la fattispecie in relazione alla sanzione edittale irrogabile sulla base della disciplina contenuta esattamente nell’art. 492, comma 2, lettera b, e nel successivo art. 503, comma 1. E se ritiene che la sanzione astrattamente comminabile debba essere superiore alla censura, dovrà rimettere gli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari;
d) non può dunque egli estendere ex ante la valutazione oltre la fase dell’individuazione dell’organo disciplinare competente alla fase di applicazione in concreto della sanzione all’esito del procedimento disciplinare, che compete all’Amministrazione.
Ovviamente, per conseguenza, andrebbero abrogati gli uffici competenti per i procedimenti disciplinari.
Possiamo ben ripetere che le statistiche testimoniano come l’obiettivo di colpire i dipendenti infedeli non si consegue mantenendo l’inerente potere disciplinare in capo a soggetti lontani/estranei dai/ai luoghi in cui in concreto si verificano i deprecati misfatti. Soggetti lontani ed estranei, che, nel parametrare obbligatoriamente la sanzione sulla scorta di una molteplicità di elementi soggettivi e oggettivi riferibili all’incolpato, dispongono essenzialmente solo di carte e perciò, in buona sostanza, decidono de relato: con l’inevitabile cautela, può dirsi, eccessiva e non minore di quella che si vorrebbe imputare al dirigente che – per contro – meglio conosce la persona e il contesto in cui è stata consumata l’infrazione; dirigente che così sarebbe rinforzato nelle sua autorevolezza, idonea a dispiegare effetti dissuasivi nei confronti di coloro che siano inclini a deviare dal corretto comportamento.
Certamente, si potrebbe controbattere che i dirigenti sarebbero restii ad adottare decisioni così pesanti e sicuramente suscettibili di innescare un contenzioso che, in caso di soccombenza, li esporrebbe a conseguenze risarcitorie di non poco conto, ovvero a denunce penali.
Può esser vero. Ma non è men vero che, sotto il profilo civilistico-risarcitorio, l’annullamento della sanzione da parte del giudice del lavoro adito è una sentenza nei confronti dell’Amministrazione, che – sulla scorta di una consolidata giurisprudenza – deve surrogarsi al dirigente se comunque chiamato personalmente in causa: beninteso, se non ci sia stata la cesura del rapporto organico per avere egli palesemente agito per esclusivi fini personali o egoistici o per ripicca. Ed occorre sempre ricordare che l’ art. 55-sexies, citato, al comma 4, replicando quanto disposto dall’art. 1 della legge 20/94 (in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), statuisce de plano che la responsabilità civile eventualmente configurabile a carico del dirigente in relazione ai profili di illiceità nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del procedimento disciplinare è limitata, in conformità ai principi generali, ai casi di dolo o colpa grave.

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