di Rita Bortone
Questioni di Rav, di Ptof, di criticità del sistema
Che nella società contemporanea sia complicato crescere e che complicatissimo sia il compito di educare e istruire i giovani è detto ogni giorno da parti diverse, come ogni giorno è sbandierata l’importanza della scuola ai fini dell’esistenza individuale e dello sviluppo economico e civile del Paese. Ovviamente dire queste cose è facile ma non è sufficiente a far sì che la scuola svolga efficacemente il suo compito, né le misure adottate a livello nazionale, pur numerose e articolate, sembrano a loro volta sortire gli effetti desiderati.
Oggi le scuole sono impegnate a fare una cosa che una volta si chiamava Pof (piano dell’offerta formativa) e che adesso si chiama Ptof (Piano triennale dell’offerta formativa). Hanno appena finito, per quest’anno, di fare un’altra cosa che si chiama Rav (Rapporto di autovalutazione), che prima non esisteva proprio e che dovrebbe servire a individuare i punti critici di ciascun Istituto per rimuoverli e migliorare la qualità della scuola e della cosiddetta offerta formativa.
Rav e Ptof dovrebbero esser messi dunque in stretta relazione tra loro, e l’elaborazione del secondo dovrebbe tener conto delle risultanze del primo.
Quest’anno, dovendo il Ptof essere pensato in ottica triennale, dovrebbe essere teoricamente più facile, per ciascun Istituto, definire le visioni e le linee culturali e organizzative lungo le quali progettare e costruire la propria offerta formativa. Insomma, secondo logica e secondo norma, tutto dovrebbe andar bene e guadagnare in efficacia formativa (ché questo dovrebbe esser lo scopo di tutta l’operazione valutativa e progettuale).
E’ forse utile però tener presente alcune situazioni di criticità più vaste e profonde di quelle individuate nel Rav, che riguardano l’intero sistema, e provare per ora a governarne i possibili effetti, in attesa di poterle nel tempo quanto meno ridurre se non eliminarle.
La prima situazione riguarda il rapporto di autovalutazione.
Lavorando con scuole alle prese con il Rav, ho avuto spesso l’impressione che la scuola d’oggi, o tanta parte della scuola d’oggi, non si sia proprio accorta dei decenni in cui negli Istituti si tentava la ricerca della qualità, si sperimentava l’autoanalisi d’Istituto e si diffondevano il lessico, i concetti e le procedure legati a indicatori e descrittori, esiti e processi, standard e miglioramenti e così via. Sembra che il discorso (in molte scuole) non sia mai stato fatto, che nessuna delle migliaia di pagine scritte su questi temi sia mai stata letta. Sembra insomma che si cominci tutto daccapo, ma peggio, perché ieri si era consapevoli di dover imparare, mentre oggi si finge, in alto e in basso, che le cose e le pratiche siano state già acquisite. Per i Rav nascono i Gav (Gruppi di autovalutazione), le ore di lavoro aumentano, ci si incontra in orari improbabili e sotto il caldo cocente, si accede a nuove piattaforme, si pongono nuove domande sul che fare, sul come fare, come adempiere, e il Rav, che dovrebbe essere un complesso lavoro di analisi di elementi in relazione tra loro, una complessa ricerca di possibili incidenze e fattori causanti, una articolata definizione di percorsi strategici finalizzati, finisce con l’essere un lavoro compilatorio, semplificato e risolto attraverso formulazioni linguistiche dai caratteri ben misurati, che troveranno il loro posto negli appositi riquadri del documento, ma che forse non troveranno mai una logica che li integri e che presieda efficacemente alle sedicenti scelte di miglioramento.
La seconda situazione riguarda il piano dell’offerta formativa.
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