a cura di Enrica Bienna
(già docente di lettere nella scuola secondaria di II grado)
Comunque anche Leopardi diceva le parolacce
– Giuseppe Antonelli, Libellule Mondadori, 2014
Che gli Italiani abbiano un rapporto difficile con la loro lingua madre è un dato indiscutibile. Circa il 70 % della popolazione tra i sedici e i 65 anni non è in grado di leggere e di capire una pagina di giornale (dati OCSE) e un quinto dei quindicenni manca delle competenze minime per fare della lettura una attività funzionale.
Ma più in genere gli italiani affrontano con disagio ogni situazione comunicativa non familiare, non hanno bussole per orientarsi nei diversi contesti formali, maneggiano con insicurezza la lingua e non ne conoscono processi e meccanismi. Capita così che si aggrappino a norme desuete, aspirino a replicare modelli linguistici del passato, modelli “virtuali”, quelli per intenderci che si tramandano ancora in certe scuole e che nella vita reale non esistono più, o che invochino una pulizia linguistica contro barbarismi, neologismi e dialetti, e che incolpino i media, e in particolare internet, di attentare alla vita dell’italiano, per dedicarsi poi tutti ad una liberatoria scrittura di post, messaggi e chat privi di vincoli e regole.
Tutta colpa della degenerazione della lingua?
“Il congiuntivo è morto, il punto e virgola è morto e anche l’italiano – vorrebbero farci credere – non si sente troppo bene. Continuano a ripeterci che si sta corrompendo, contaminato dall’inglese e minacciato da Internet e dai messaggini (signora mia, non c’è più rispetto neanche per la grammatica). Ma siamo sicuri che le cose stiano davvero cosi?
Giuseppe Antonelli partecipa al dibattito con questo suo “Comunque anche Leopardi diceva le parolacce”, e dal titolo si capisce già il tenore del discorso che andrà a sviluppare e lo stile volutamente antiaccademico e linguisticamente antiperbenista adottato; docente di storia della lingua italiana presso l’università di Cassino, attraverso la trasmissione settimanale “La lingua batte” che conduce su Radio Tre, combatte in prima linea per la diffusione dell’italiano e per il suo aggiornamento.
L’italiano non è morto, afferma l’autore, e ciò è dimostrato dal fatto che è finalmente diventato oggi, dopo un lungo processo, anche lingua parlata (e scritta, sia pure sui social) da quasi tutti gli italiani in quasi tutte le situazioni comunicative. Ha bisogno però di essere rivitalizzato: occorre partire dallo sradicamento dei pregiudizi e dei falsi miti ancora diffusi, in base ai quali è ritenuto negativo ogni cambiamento linguistico e positivo solo il modello di lingua della tradizione letteraria, nel rispetto di una “norma” invariabile nel tempo.
PER CONTINUARE A LEGGERE QUESTO ARTICOLO DEVI ESSERE ABBONATO! Clicca qui per sottoscrivere l’abbonamento