di Francesco G. Nuzzaci
1.1-Il disegno di legge n. 2994/15, dal titolo Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione, dopo essere stato licenziato in prima lettura dalla Camera dei deputati, è tuttora in discussione al Senato (1934/AS).
Sono venticinque corposi articoli di disposizioni tendenzialmente precettive, dovendo la loro effettività declinarsi in tempi differenziati ovvero attendere la previa emanazione di atti regolamentari. E poi ce n’è un ventiseiesimo, che contiene un nutrito elenco di deleghe, ancorché ridotto rispetto a quello previsto dal testo originario.
Gli inquilini di Palazzo Madama dovranno lavorare a tamburo battente nei tempi contingentati e così consentire un’altrettanta veloce, definitiva rilettura all’altro ramo del Parlamento. A meno che non debba porsi la questione di fiducia.
Perché un secondo passaggio alla Camera è possibile, e auspicabile, se le modifiche saranno state sinceramente preordinate alla correzione di alcune evidenti e non emendate incoerenze, come la rettifica della composizione del Comitato di valutazione, espungendovi la presenza di studenti e genitori in un organismo che deve esprimersi su prestazioni tecnico-professionali dei docenti. Sarà problematico – per usare un eufemismo – se si insisterà per lo smantellamento dell’intera impalcatura, in forza della coriacea pressione di tutti i sindacati del comparto scuola – confederali e autonomi, rappresentativi e non – in permanente mobilitazione e sostenuti da una trentina di sigle collaterali, da esponenti politici della sinistra-sinistra, da intellettuali cosiddetti progressisti: come dire, nulla deve cambiare e il futuro non ci appartiene; da ultimo ed inopinatamente dal presidente della Conferenza episcopale italiana. E concordi nel pretendere il ritiro del testo dopo averne stralciato e approvato con decreto legge il solo piano di assunzioni dei precari, allargato all’inclusione di una pletora di soggetti potenzialmente illimitati e lo slittamento dei concorsi ordinari per almeno un triennio: sicché le giovani – per modo di dire – leve di aspiranti all’insegnamento, che vogliano percorrere la via maestra tracciata dalla Costituzione all’articolo 97, possono attendere nel limbo a stagionarsi ulteriormente.
Tutto il resto dovrebbe essere rimesso – nella circostanza sorvolandosi sulla c.d. rilegificazione operata dal D. Lgs 150/09 e confortata sinora da tutti i giudici del lavoro pronuncianti in appello – alla, presunta, competenza dei tavoli contrattuali, trattandosi di materie che hanno ricadute su aspetti normativi e retributivi del rapporto di lavoro; o, in subordine, andrebbe rinviato a non precisati tempi più distesi, per il consueto approfondito e democratico confronto con l’intero mondo della scuola, che darebbe mostra, più che di una non condivisione, di una vera e propria avversione per la riforma.
Quale che sia l’esito di un intollerabile braccio di ferro per una legge che si vuole in gazzetta ufficiale non oltre la metà di giugno, essa è poi destinata a completarsi con uno o più decreti legislativi sulla base della cennata delega al Governo, prevista nel rinumerato articolo 23, al fine di provvedere al riordino, alla semplificazione e alla codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione, anche in coordinamento con le disposizioni di cui alla presente legge.
Entro diciotto mesi dalla sua entrata in vigore, i decreti legislativi attuativi dovranno difatti normare diversi istituti, con facoltà di una loro correzione o integrazione nei due anni successivi.