di Rita Bortone
Mentre spedisco il mio contributo mi giunge notizia dell’avvenuto invio alla Camera del disegno di legge governativo recante riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione, con delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti.
Non conosco ancora il testo ufficiale. Mi riservo quindi di analizzare più in dettaglio, nei prossimi interventi, le ricadute del ddl sulla quotidianità scolastica, anche tenendo conto delle discussioni che interverranno e delle modifiche che certa-mente saranno apportate dal Parlamento.
Mi si chiede di ragionare sulla questione del merito. Non mi sembra utile riprendere le già molto discusse (nel dibattito nazionale e su questa stessa rivista) questioni di principio, che portano in genere a contrapposizioni ideologicamente e non pragmaticamente segnate. E penso che ragionarne in termini pratici sia un po’ prematuro, perché non sappiamo quale sarà la versione definitiva del ddl e quali indicazioni operative verranno fornite alle scuole anche dal successivo decreto legislativo.
Qui posso comunque fare delle brevi considerazioni su quanto conosciamo al momento.
Quel che resta del merito
Quando fu pubblicato il documento la buona scuola, sulla questione del merito vennero subito fuori le contrapposizioni di principio: le conservatrici affer-mazioni dell’attuale egualitarismo si scontrarono con le ragioni dell’equo riconoscimento di chi fa di più e meglio, e con quelle della qualità che ne ricaverebbe il sistema. Discorsi triti e ritriti, ormai persino noiosi nella loro inutilità.
Nel settembre scorso, in un articolo pubblicato da questa rivista, intitolato Non c’è buona scuola senza professionalità docente, scherzavo sul fatto che in quei giorni Gramellini, nella sua quotidiana e seguitissima rubrica su La Stampa, commentando l’idea di merito espressa dal documento, ricordava che in Italia si è parlato molte volte di merito, ma per connaturate caratteristiche degli italiani, mai alle parole sono seguite azioni concrete, e ironizzava sul fatto che solo un miracolo potrebbe rendere operativo, nella scuola di questo Paese, un discorso di avanzamento di carriera per riconoscimento, appunto, del merito. Condividevo le paure di Gramellini e tuttavia sostenevo che forse non è utile al miglioramento della scuola ironizzare e dare per scontato che non sia possibile ciò che a noi appare, per cause molteplici, difficile oggi.
Oggi, attendendo la versione definitiva del ddl, ovviamente penso che aveva ragione Gramellini.
Non è che il documento La buona scuola fosse un modello di chiarezza: i punti che meritavano d’essere rivisti o approfonditi, relativamente agli insegnanti, erano molto importanti, dalla progressione retributiva solo per merito alla composizione del nucleo di valutazione, dalla formazione obbligatoria affidata a presunti innovatori naturali al vincolo del 66% di destinatari dello scatto stipendiale, dalla esiguità delle figure di sistema (solo il mentor!) alla mancanza di criteri valutativi nazionali…