di Antonio Errico
Il 25 settembre 1264, sul far del giorno, il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara.
Comincia così I fiori blu di Raymond Queneau.
Accade, alle volte, di soffermarsi un “momentino” a considerare la situazione storica e di trovarla poco chiara.
Probabilmente perché i tempi non sono mai chiari, perché la storia si fa nella confusione, nella contraddizione, attraverso i contrasti, i conflitti, le incoerenze, le antinomie, più o meno evidenti, più o meno laceranti, con percorsi indefiniti, discontinui, con fratture.
In fondo non c’è mai niente di nuovo sotto il sole, e se accade che qualcosa ci sembri nuovo, è semplicemente per il fatto che ignoriamo che sia già accaduto in un altro tempo, in un altro luogo.
Allora, quando riconosciamo all’epoca che si vive una condizione di complessità provocata – anche – dalle frane dei punti di riferimento, dall’incrinarsi o dal frantumarsi delle certezze, dal frastagliarsi delle identità, forse dovremmo considerare, fra le altre cose, che non ce n’è stata mai un’altra semplice, lineare. Non c’è stata mai un’epoca che non abbia attraversato crisi, che non si sia confrontata con la complessità. Certo, esistono livelli di complessità diversi: un’epoca ne registra uno più basso oppure più alto di quello di un’altra. La contemporaneità registra un livello di complessità alto, altissimo.
La rapidità con cui mutano gli scenari culturali, sociali, economici determina complessità. Sono complesse le esperienze di lavoro e, forse anche di più, quelle del non lavoro, dell’inoccupazione, della sottoccupazione. Sono complesse le relazioni intersoggettive, le dinamiche interculturali.
Sono complessi i processi di acquisizione delle conoscenze perché gli ambiti del sapere hanno confini che si slargano, si sovrappongono, a volte si confondono, e il tessuto di conoscenze e competenze personali tiene per un tempo limitato, ha bisogno di essere intrecciato con conoscenze e competenze nuove, di diversa provenienza e diverso genere. Ogni professione richiede costanti adattamenti, rimodulazioni, riformulazioni di concetti e di pratiche.
Quello che si rivela utile sapere e saper fare oggi, domani o domani l’altro, dovrà essere necessariamente riconvertito, riorganizzato. Teorie e metodi richiedono – anche in modo pressante – varianti, innesti. Il sapere moltiplica le sue forme e le sue espressioni.
Probabilmente è questa moltiplicazione che occorre prioritariamente comprendere per poter essere in grado di decifrare e interpretare la complessità dei diversi fenomeni sociali, della storia e delle sue manifestazioni. Senza strumenti di decodifica, di lettura, di analisi, non si potrà fare altro che limitarsi ad osservare ed a prendere atto della confusione di tutto. Non potremo capire da dove vengono i problemi e quali possano essere le soluzioni, da che cosa sono generate le turbolenze che attraversano il sociale, che cosa produce la crisi e in che maniera si possono governare; tutto ci sembrerà frammentario, disordinato, sottoposto al caso; non avremo autonomia di giudizio, capacità critica, disponibilità alla flessibilità, per cui assumeremo un comportamento passivo nei confronti degli eventi, li subiremo senza possibilità di modificarli.
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