di Rita Bortone
“La scuola non serve a niente”
Il volumetto, edito da Laterza, lo leggi perché hai comprato La Repubblica e ne hai trovato la promozione, o perché costa pochissimo (€ 5,90) e ti ha incuriosito il titolo La scuola non serve a niente, o ancora perché hai letto altre cose di Andrea Bajani e ti è piaciuto come scrittore.
Poi scopri che il volume raccoglie un pezzo di Bajani (quello che dà il titolo al libro) ed altri pezzi che in parte o tutti sono già usciti su La Repubblica: Massimo Recalcati, Marco Lodoli, Christian Raimo, Mariapia Veladiano, Silvia Dai Pra’, Chiara Valerio.
Ti ritrovi a considerare che è la prima volta che ti capita di incontrare un bel numero di intellettuali che tutti insieme decidono di parlare di scuola. Di raccontarla per come la vedono.
Non è un saggio, il volumetto, ma nelle sue diverse articolazioni tematiche delinea efficacemente la profonda crisi della scuola italiana.
A partire dai drammi di chi ci vive, primi fra tutti i ragazzi, la cui amara visione del mondo adulto è raccontata dal gioco delle parole inventate: la monetica, per accusare l’imperante etica del denaro, la disonestar, per stigmatizzare il successo ottenuto con la disonestà, la ludovita, per raccontare un paese intento a giocare invece di costruire qualcosa di duraturo. E poi la parola più brutta, il rinuncianesimo, la parola dell’abbandono, della rinuncia. I miei genitori mi hanno detto che andare a scuola e poi scegliere l’università che mi piace non mi cambierà la vita. Sono d’accordo: troverò lavoro? No….se siamo sinceri lo sappiamo tutti….solo che qualcuno si vergogna a dirlo: la scuola non serve a niente. E’ il dramma del non senso, della dispersione, dell’abbandono, di pochi o di molti ragazzi, o forse di un’intera generazione: come si legge sulla copertina, un ragazzo di quindici anni che non vuole andare più a scuola è un fallimento per tutti. Dietro ci sono degli insegnanti, una famiglia e un paese che lo lasciano andare.
Ma la crisi della scuola e la pratica del rinuncianesimo non stanno solo nei ragazzi che abbandonano, stanno nella evaporazione del professore, che si è dissolto in una nuvola di gas e ha smarrito la sua funzione; sta negli italiani che prima, a milioni, con il maestro Manzi credevano che Non è mai troppo tardi, ed oggi invece non hanno più voglia di imparare, perché avvertono che non esiste la possibilità di una vita migliore, e che ormai è troppo tardi.
Dopo il testo di Bajani seguono i pezzi degli altri autori, altrettanti spaccati della scuola d’oggi: il professore che s’improvvisa psicologo e pensa di fare il suo dovere interessandosi ai problemi dei ragazzi ed alle loro vite private piuttosto che al loro sapere (Recalcati); la distanza dei giovani dalla cultura umanistica e il loro disinteresse per il passato (Lodoli); l’assurdità del sistema di formazione degli insegnanti e la mancanza di una progettazione sistemica del funzionamento della scuola (Raimo); la gravità e la difficoltà di soluzione del precariato (Veladiano); e poi le divertenti e amaramente realistiche cronache dal fronte, fotografie di una scuola che ha smarrito cultura, regole, ruoli, autorevolezza, sicurezza e fiducia in se stessa.
Lo si legge in un paio d’ore, il volumetto, una lettura piacevole nonostante l’accento sia posto su ciò che è perduto, su ciò che è drammaticamente perduto, su quanto di sbagliato c’è oggi nel mondo e nella scuola, quanto di disperazione c’è nei ragazzi, quanto di frustrazione e di alienazione c’è nella professione docente.
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