di Antonio Errico
“Dimmi il nome con cui ti chiamano tuo padre e tua madre e quelli della tua città e coloro che vivono intorno”, chiede Alcinoo a Odisseo. E lui gli risponde, semplicemente: “ Sono Odisseo, figlio di Laerte”.
Nell’universo dell’ Odissea basta il riferimento all’origine, alla provenienza, a connotare l’identità. Perché è un universo che rappresenta se stesso e consente a ciascuno di rappresentarsi in esso.
È un’identità che si definisce dalla nascita, che resta immutabile fino alla morte, che anche dopo la morte è riconosciuta con gli stessi elementi dell’appartenenza.
Anche nei contesti della cultura contadina accadeva la stessa cosa.
Nella condizione della contemporaneità, invece, “l’identità è sempre, e incurabilmente, separata dalla nascita”, dice Zygmunt Bauman . Non esiste un’identità fissata. Ogni identità dev’essere necessariamente costruita senza neppure la certezza che la costruzione possa giungere a compimento. Non si verifica un ritorno alla nascita.
Bauman riprende un’affermazione di Richard Sennett, secondo cui “un uomo o una donna possono divenire nel corso della loro esistenza come stranieri a se stessi, assumendo atteggiamenti o percependo sentimenti che non si adattano al quadro di riferimento della propria identità fornito dai caratteri sociali apparentemente fissi della razza, classe, età, genere o etnia”.
Indispensabilmente, l’insegnamento deve confrontarsi con questo concetto polimorfo di identità, con la trama dei suoi sensi molteplici che si realizzano in relazione ai contesti storici, geografici, culturali, alle dimensioni esistenziali, alle esperienze soggettive e collettive, al sistema di simboli e valori, all’immaginario.
Ma, quale che possa essere l’ambito al quale si fa riferimento, rimane costante il significato di una condizione in continua evoluzione, sulla quale intervengono elementi di diversa natura e con diversa intensità.
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